[06/05/2008] Energia

Biocarburanti, il dubbio si dipana solo con la ricerca

LIVORNO. Senza il criterio direttore della sostenibilità ambientale a dirimere tra quello che si può e quello che non si può fare e senza l’aver compreso a pieno che le complessità non si risolvono con una pietra filosofale, l’uomo inteso come genere umano rischia di non trovare mai il bandolo della matassa che gli permetta di non tagliarsi il ramo sul quale sta seduto. Il “caso biocarburanti” – di cui abbiamo già molto spesso trattato - in questo senso è esempio assai calzante: in pochissimo tempo, infatti, sono passati da essere la manna dal cielo, alla causa scatenante la crisi alimentare di questi tragici giorni. Dove stia la verità è difficile sostenerlo perché un altro errore è quello di “globalizzare” una questione come questa facendo finta che l’Europa e il Brasile, o la Cina siano la stessa cosa. Mentre invece è giusto capire e calcolare cosa un battito d’ali in un paese abbia come conseguenze in un altro.

I biocarburanti quindi sono certamente responsabili in parte dell’aumento dei costi delle materie prime, ma vanno capite le proporzioni. Per questo è verificare e vagliare quanto sostiene un’elaborazione effettuata dall’Unione produttori biodiesel, l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di biodiesel nazionali, che ha utilizzando i dati pubblicati da Toepfer international, società per il commercio agricolo internazionale, riuscendo a calcolare che è meno dell’1% la superficie coltivabile a livello mondiale destinata al biodiesel. Nel 2007, sostiene l’Unione che ovviamente ha una visione di parte e non potrebbe essere altrimenti, «la produzione mondiale di cereali è stata di 2,423 miliardi di tonnellate, di cui 406 milioni di semi oleosi, con una superficie complessivamente impegnata di 762 milioni di ettari, di cui solo 6 milioni destinati a colture per biodiesel».

«Questi numeri parlano da soli! - afferma Maria Rosaria Di Somma, direttore generale dell’Unione produttori biodiesel - Bisogna sfatare il fatto che il biodiesel sia in alcun modo responsabile della crisi alimentare, provocata invece da altri fattori quali l’andamento climatico sfavorevole, la riduzione degli stock cerealicoli e i mutamenti nelle abitudini alimentari in Cina e India”.

Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, Cina, India e i Paesi del Medio Oriente incidono per l’80% nella crescita dei consumi di combustibili fossili, facendo aumentare il costo del petrolio mettendo in difficoltà le riserve dei paesi produttori. Considerato che gli aumenti dei consumi sono dovuti alle esigenze di autotrazione – prosegue il documento dell’Unione Produttori Biodiesel - , i biocarburanti rappresentano l’unica vera alternativa, sia in termini di riduzione della dipendenza dal petrolio sia in termini di benefici ambientali.

L’Unione ricorda poi che «il biodiesel è un prodotto di origine vegetale, quindi totalmente biodegradabile, e in caso di dispersione accidentale non inquina né suoli né acque. Il biodiesel, inoltre, è l´unico carburante che non contribuisce all´aumento di anidride carbonica nell´atmosfera perché la sua combustione produce un´emissione di CO2 in quantità uguale a quella che le piante impiegate per la sua produzione assorbono dall´aria nel loro processo di crescita. Non contiene zolfo (quindi non contribuisce all´emissione di anidride solforosa che causa il fenomeno delle piogge acide), ha un alto punto di infiammabilità, ed è quindi sicuro da manipolare, e infine ha un alto potere lubrificante che diminuisce l´usura dei motori. Il biodiesel può essere utilizzato miscelato al gasolio tradizionale, come già avviene in Italia nell’ambito dell’autotrazione, oppure puro, anche per riscaldamento, senza dover modificare motori e caldaie».

Detto questo, e ricordato che come ha detto Massimo Serafini su greenreport – «insistere molto sulle responsabilità dei biocarburanti potrebbe effettivamente portare ad una riduzione delle superfici dedicate alle agroenergie, ma col risultato che i popoli ricchi continuerebbero ad andare in auto alimentate a benzina e quindi ad inquinare e quelli poveri ad avere fame perché anche eliminando la produzione di biocarburanti il prezzo del pane continuerebbe a salire» – è giusto che proseguano gli studi su nuovi tipi di biocarburanti che potrebbero anch’essi contribuire al mix necessario per il progressivo abbandono delle fonti fossili e non rinnovabili.

Come quelli – di cui parla l’Ansa – di alcuni scienziati a livello mondiale sui microrganismi in grado di trasformare la cellulosa, il più abbondante materiale organico al mondo, in etanolo per cercare di carpire i segreti della loro perfezione. L´ultimo ad essere studiato è stato il Trichoderma reesei, il fungo ´pacifista´ noto perché ghiotto di divise e tende militari, ma sono in corso studi sulla flora batterica delle termiti, su alcune alghe microscopiche, e c´é persino chi, come il genetista Craig Venter (vedi altri articoli di greenreport), sta cercando di crearne di totalmente sintetici in laboratorio. I biocarburanti ricavati dalla cellulosa del legno, delle erbacce, dei materiali organici in generale come ad esempio le alghe, sono molto vantaggiosi rispetto a quelli tradizionali: bruciare etanolo da cellulosa abbassa le emissioni rispetto alla benzina dell´87%, mentre quelli da cereali al massimo del 28%. Inoltre la cellulosa contiene 16 volte l´energia usata per produrla, mentre la benzina solo cinque e l´etanolo da mais 1,3. Il problema è trovare il modo di ´rompere´ i legami di questa molecola per trasformarla in zuccheri più semplici, che fermentando danno l´etanolo.

Torna all'archivio