[05/05/2008] Energia

Senza se e senza ma: è il no di fatto che la Toscana rivolge al mini-eolico

AREZZO. Il fallimento degli obbiettivi dovrebbe spingere ad analizzarne le ragioni, invece dopo il fallimento del Piano energetico regionale se ne propone un altro e via.
Uno dei fallimenti maggiori del vecchio piano energetico lo abbiamo nel settore delle fonti rinnovabili.
Il nuovo Pier va in approvazione dopo le novità introdotte dalla Legge finanziaria 2008 ed è stata necessaria una ponderosa circolare illustrativa di “prima applicazione” con rinvii a successive variazioni da introdurre nel Pier.
Chiarissimo come il Pier sia stato spiazzato da norme nazionali più avanzate e tendenti a semplificare e a spingere verso la crescita vera delle rinnovabili.
In sostanza la Finanziaria cerca di promuovere la produzione diffusa di energia da rinnovabili fissando una tariffa unica di 30 c€/Kwh per gli impianti sotto 1 Mw di potenza (200 Kw per l’eolico) ed auspicando norme autorizzative semplificate.

Invece nel Pier e nella “circolare” non è prevista nessuna agevolazione e nessuna semplificazione autorizzativa per il mini eolico nelle taglie da 60 a 200 Kw.
Elevare una piccola pala da 100 Kw in una zona industriale ha lo stesso iter burocratico di un impianto 100 volte più grande su un crinale.
La questione è terribilmente seria, perché uno screening ambientale “normale” costa sui 70-90.000 € e quindi nessun piccolo impianto è conveniente con questi costi progettuali.
Si tratta di un iter costoso come l’impianto.
Come diceva Totò “…. poi uno si butta a destra …”

Eppure viene avanti da tempo, ed in tutta Europa, il concetto di “uso secondo del paesaggio” che stimola la costruzione di impianti eolici a partire dalle aree già antropizzate.
Zone industriali, cave, discariche ecc. dovrebbero poter ospitare impianti eolici di piccola taglia, magari legati alle singole aziende, senza alcun aggravio ambientale ed, ovviamente, con procedure autorizzative semplici e rapide.

Invece, in Toscana, si deve dimostrare con complesse analisi ambientali che una pala di 40 metri non provoca danni ambientali e paesaggistici, per dire, nel petrolchimico di Livorno o alla Solvay di Rosignano.
Forse ostacola la migrazione degli uccelli di lamiera, che ivi nidificano.

Rimangono gli impianti sotto 60 Kw che possono godere di una “botta di DIA”.
Ma anche a questa liberalizzazione il nostro Pier forse ha trovato il rimedio.
Infatti pone la questione delle mappe eoliche ed apre alla “zonizzazione” nei Piani Regolatori Comunali.
Un 1-2 tale da mandare al tappeto anche l’eolico più resistente.

Sembra che le autorizzazioni siano subordinate ad una ventosità minima accertata su larga scala dalla Regione o da dimostrare ad onere del richiedente.
La questione è assurda anche per i grandi impianti, poiché nella valutazione di fattibilità è certamente importante la produzione di energia e quindi il fatturato, ma anche il costo di impianto.
Per esempio l’impianto eolico di Pontedera, in fase di costruzione, ha venti piuttosto deboli, ma ha il grande vantaggio (anche paesaggistico) di nascere in una zona industriale, quindi con risparmi notevoli nella viabilità, nelle opere di consegna dell’energia ecc.

Ma perché la Regione deve entrare nel controllo del business-plan di un investitore ? Ero rimasto nella convinzione che lo Stato dovesse tutelare gli interessi collettivi, non quelli privati.
Se lo Stato riconosce un valore di 180 € per mw/h all’energia da eolico, sarà poi compito degli investitori stabilire se la somma dei costi per la realizzazione dell’impianto sarà remunerata dai ricavi sperati. Lo Stato dovrebbe limitarsi a stabilire se l’impianto proposto configge con la tutela di beni ambientali e paesaggistici. Almeno in una economia di mercato.

Ma per il mini-eolico questa normativa è un capestro insuperabile.
Intanto i vari “Pierini” che i Comuni stanno emanando (l’ultimo è quello della Val di Cornia) impongono che siano “rilevabili valori di ventosità eguali o superiori a 5 m/sec”.
Senza dire, ovviamente, dove va presa la misura.
Per cui i funzionari sono autorizzati a richiedere che siano dimostrati 5 metri/sec. a terra, oppure al mozzo, oppure ancora ad una altezza standard fissata a capocchia, Comune per Comune.
Ma poi, soprattutto, sono autorizzati a chiedere campagne anemometriche specifiche e, se si arrabbiano, anche micro-siting per una paletta da 30 metri.

Quindi un aggravio di costo, per un piccolo impianto di 50 Kw, che può giungere al 20% del costo totale dell’impianto ed avrà una durata minima di 14 mesi.
Fine delle trasmissioni. Il mini eolico è sistemato.

Eppure Pier non sa che le mini-pale da 50 Kw, come quelle che un gruppo di matti vorrebbe poter costruire in Toscana (ma farebbero bene a rassegnarsi, che non è aria), si avviano a 3 m/sec. e sono pensate, Dio ce ne scampi e liberi, proprio per le ventosità più modeste.
E proprio perché, data la loro limitata altezza, godono di meno vento, che interviene l’agevolazione tariffaria garantita dallo Stato.
Quindi, riassumendo, le pale del mini eolico sono piccole, meno visibili ma anche con meno vento, e per questo vengono premiate dalla tariffa, ma siccome sono piccole non possono essere autorizzate perché hanno poco vento.
Tanto di cappello.

La Sacra inquisizione, nel processo a Galileo, non era riuscita a comporre un sillogismo così raffinato.

Maggior vento si ha sui crinali e/o con pale eoliche molto alte, lo sanno tutti.
Ed è questa, chiaramente, la scelta della Regione, come ben rileva Legambiente nel suo commento al Pier.
Pochi mega impianti eolici sui crinali, laddove note società hanno già stipulato con i proprietari i contratti d’uso dei terreni.
Ecco la via all’eolico che è stata preparata e a cui la nascita di una rete di piccoli produttori non può che dare fastidio.
Eppure la Toscana aveva una grande tradizione di amicizia con il vento. Le pompe eoliche Vivarelli, poi esportate fino nel far west, hanno caratterizzato il panorama delle maremme.
Ma erano tempi con pochi architetti. L’hanno scampata.

Oggi, che le pompe vanno a corrente elettrica, sarebbe bello che mini-pale di quel tipo servissero a produrla ed a garantire una integrazione al reddito agrario, oppure un “manifesto” di naturalità ai tanti agriturismi, oppure ancora un elemento di sussidierietà energetica nei lotti industriali.
Una pala da 200 Kw, anche con venti intorno a 5 metri, garantisce un reddito lordo almeno pari ad uno stipendio e l’autonomia energetica domestica di 200 persone.

Ma soprattutto le mini-pale possono essere direttamente di proprietà dell’agricoltore, del pastore, della piccola industria che le ospita.
E non è un caso che tra le banche disponibili ad intervenire a sostegno di questa idea di produzione diffusa vi sia la Banca Etica.
Invece sono il capro espiatorio ideale di tanti tecnici ed amministratori che, come le ragazze della notte di Guccini, “hanno detto troppi si”.

Ecco, per esempio sarebbe interessante verificare, ma solo per sfizio, se ci sia stato un rapporto tra il fallimento del primo Piano Energetico e l’atteggiamento di molti funzionari pubblici che si sentono investiti del ruolo di difendere la Toscana dall’eolico, in barba alle proclamate volontà politiche.

No, vero ? E poi magari per scoprire che hanno vinto loro e che la lobby degli architetti è quella meglio organizzata in Toscana.
Ora, come dicevo, sono al nastro di partenza i “recepimenti” del Pier negli strumenti urbanistici comunali, i Pierini, appunto.
Allacciare le cinture, che lo spettacolo va ad iniziare.
Quale sarà mai il dirigente dell’urbanistica o l’assessore alle attività Varie ed Eventuali che non vorrà inserire un suo “segno” distintivo in fase di recepimento ?
E sarà, come è ovvio, un segno di sottrazione.

Il godimento sarà quello di inventare un “retino” per le zone ove costruire i singoli impianti eolici, senza avere alcuna specifica preparazione nella progettazione eolica e con la perenne vocazione a sostituirsi alla iniziativa privata.
Tanto si sa che senza l’assenso dei Comuni, gli impianti eolici, grandi o piccoli che siano, non si possono fare.
E quindi avremo il solito frazionamento, le trattative defatiganti, i consensi conquistati con le royalty o con la pressione lobbistica.
Una lenzuolata di statalismo, dopo le fazzolettate di liberalizzazione e di semplificazione.

Già ora, e siamo solo all’inizio, per esempio a Collesalvetti, si possono progettare impianti eolici in aree agricole, mentre non si può in Val di Cornia, mentre a Volterra è vietato ovunque.
E pensare che la produzione di energia da rinnovabili è definito un atto di “pubblico interesse” dalla nostra legislazione. Quella ideologica, però, non quella pratica.

Siccome ci sarà chi ha pronta l’accusa di disfattismo proviamo a dare alcuni suggerimenti.
Semplicemente quelli di assumere tre concetti:
• generazione diffusa,
• uso secondo del paesaggio
• sussidiarietà energetica.
Il tutto inserito in tre azioni virtuose:
Semplificazione, Coerenza, Principio di responsabilità.
E non si dica che siamo tutti d’accordo, per piacere.
Quindi :
• semplificare le procedure di DIA per tutti gli impianti di piccola taglia definiti dalla Legge Finanziaria 2008 all’art.2 comma 145 con limitazioni solo per quelli collocati in aree protette.
• Estendere la procedura di DIA agli impianti eolici fino ad 1 Mw nelle aree già classificate come insediamenti industriali o di impianti tecnologici o di servizio.
• Togliere ogni riferimento alla ventosità almeno per gli impianti di mini-eolico.
• Garantire omogeneità sul territorio regionale individuando, con unico atto concordato tra le varie istituzioni, le aree da tutelare e liberalizzando il resto del territorio, applicando così la norma secondo cui l’autorizzazione unica, ove occorra, è variante allo strumento urbanistico.

C’è il rischio, così, che possano sorgere alcuni impianti di mini eolico anche nelle aree meno pregiate della nostra Regione, raggiungendo gli obbiettivi del Pier senza obbligatoriamente dover costruire mega impianti solo sui crinali certamente più pregiati.
E magari non dovremo più pagare la multa per non aver rispettato i parametri di Kyoto.

Torna all'archivio