[05/04/2006] Comunicati

Ambiente, per il Wwf 5 anni spesi male. Evitiamo un futuro buio

ROMA. Gaetano Benedetto (nella foto), segretario aggiunto di Wwf Italia, ha coordinato lo staff di 17 ricercatori che hanno curato l’analisi dei 5 anni di governo Berlusconi, lavoro poi raccolto nel volume “Politica e ambiente: bilancio di una legislatura” pubblicato da Edizioni Ambiente.

A Gaetano Benedetto chiediamo quindi fare un bilancio di questi anni visti dalla parte dell’ambiente, cominciando dalle cose fatte bene.
«Non si può negare che ci siano alcune cose positive, ma purtroppo si tratta sempre di iniziative puntuali che non hanno determinato linee di tendenze specifiche e in alcuni casi avevano solo un carattere giustificativo rispetto ad altre scelte. In ogni caso tra le scelte positive va messo senz’altro il sostegno dato al solare, che però purtroppo è arrivato tardivamente (agosto 2005) e quindi non ha determinato una strategia energetica rivolta a efficienza ed energie rinnovabili.
Positivo anche l’obbligo di acquisto di materiale riciclato per il 30% da parte delle pubbliche amministrazioni, ma anche in questo non ha determinato grande sviluppo del mercato delle materie riciclate, che invece dovrà essere rafforzato con le politiche di raccolta differenziata.
Nelle cose fatte bene formalmente mettiamo anche l’adesione al protocollo di Kyoto che come al solito però non ha determinato politica energetica coerente e infine va dato merito di una buona tenuta sugli ogm che è stata garantita dal ministro Alemanno».

Parlava però di linee di tendenza che non sono state rispettate.
«La linea politica relativamente all’ambiente che ha portato avanti questo governo uscente ha spostato il valore della tutela e della conservazione, anteponendo altri tipi di interessi: economici, infrastrutturali, occupazione, senza alcun punto di equilibrio. E per affermare questa visione economicistica della politica ambientale si è andati sistematicamente in deroga rispetto a tutte quelle che sono le garanzie procedurali e sostanziali che le direttive europee e le norme costituzionali garantivano».

Ci può fare qualche esempio concreto?
«L’elenco è lunghissimo: cominciamo dalle infrastrutture dove è passato il concetto di deroga sulla Via, che doveva essere ammissibile in via eccezionale, ma che invece è già stato utilizzato per 235 opere. E sempre in tema ricordiamo che per gli appalti è passato meccanismo del general contractor, soggetto che acquisisce contestualmente alla progettazione anche la possibilità di riappaltare a terzi.
In tema di rifiuti è passata la deroga allo smaltimento dei rifiuti speciali destinati al recupero: inserendo il concetto di materia prima seconda (sottoprodotto) sono state svincolate milioni di tonnellate di rifiuti speciali di origine industriale dai controlli che dovevano garantire lo smaltimento e il recupero.
Sulla caccia è passata la deroga per le Regioni che possono stilare un proprio calendario, il terzo condono edilizio esprime l’ennesimo concetto di deroga, è passata la sanatoria paesaggistica in deroga al codice Urbani, è passata la deroga per i processi autorizzativi delle nuove centrali elettriche e quella per le antenne di nuova generazione Umts…».

Tutto questo cosa significa?
«Significa semplicemente che si ritiene prioritarie altre cose rispetto all’ambiente in cui viviamo e che c’è stato uno spostamento forte dei valori. Lo stesso termine “valorizzazione” viene utilizzato per esempio riferendosi alla valorizzazione dei beni dello stato o di aree naturali protette: sono stati ripetuti i tentativi di valorizzare demanio, prima ipotizzando cessioni, poi estensione delle concessioni, per finire con i poli turistici di qualità destinati a 250 posti di lavoro per i quali hanno pensato a un sistema autorizzativo che incrementerà l’occupazione delle fasce demaniali.
Tutto ciò è evidente per esempio nei processi di alienazione dei beni dello stato con la “Patrimonio dello Stato spa” o con “Infrastrutture spa” con cui si voleva finanziare le opere pubbliche».

Le aree protette e i parchi però sono aumentati.
«Sì, ma ci sono stati infiniti richiami a un ruolo “produttivo” delle aree protette, con richiesta ai parchi di autofinanziarsi e di tassare le proprie risorse. Tutto questo mentre, se da una parte i parchi aumentavano, diminuivano i contributi dello Stato, passando da 62 milioni a 49 milioni di euro. Questa situazione poi ha trovato un altro aspetto di deroga, con i commissariamenti di protezione civile, che sono stati utilizzati per superare procedimenti amministrativi ordinari: gli scarichi cartiera di Burgo, i dragaggi della laguna a Grado, il depuratore di Milano, la galleria del Gran Sasso, la Coppa America a Trapani… queste le prime che mi vengono a mente di oltre 100 procedure governate con i commissari della protezione civile».

Energie rinnovabili, capitolo spinoso anche fra gli ambientalisti, per esempio sull’eolico.
«Ho già detto del tardivo intervento sul solare, che comunque alla fine è arrivato. Mentre per l’eolico è stato fatto un grosso pasticcio. E’ vero che noi ambientalisti abbiamo baruffato, ma la baruffa è nata perché non si è governato la situazione, non c’è stata alcuna pianificazione per quanto riguarda le localizzazioni. E quando manca l’arbitro nascono sempre le baruffe».

Rigassificatori.
«Arriviamo probabilmente al nocciolo della questione energetica: di quanti ne abbiamo bisogno? Nessuno risponde. Eppure ce ne sono già 12 di progetti. La posizione del Wwf è molto semplice: riteniamo che ci sia bisogno di farli, ma che debbano essere inseriti in una visione generale del problema, dove si stabilisce anche come uscire dalla dipendenza dal gas, perché costruendo i rigassificatori in realtà ci leghiamo ulteriormente nella dipendenza dal gas. Quindi per prima cosa lo Stato stabilisca quanti ne servono, quindi si faccia un’analisi comparata dei siti tra Stato e Regioni. A quel punto, e solo allora si metta a gara il sito: bisogna uscire dalla follia in cui siamo, con le aziende che trattano direttamente con le amministrazioni locali tenendole in ostaggio. Bisogna tornare alla programmazione pubblica, perché vorrei ricordare che si sta andando avanti ancora senza un piano energetico nazionale, che dovrà essere la priorità del nuovo governo. Perché, pur non essendo personalmente d’accordo, mi va anche bene che qualcuno pensi di diventare l’hub energetico per tutto il centro Europa. Però qualcuno me lo deve dire, e allora ne possiamo anche discutere».

Tra 4 giorni il voto. Come giudica dal punto di vista dell’ambiente, i due programmi?
«I due programmi sono difficilmente paragonabili. Il Polo fa un elenco di cose dove l’ambiente è citato solo come opportunità di valorizzazione senza incrociarlo con economia, infrastrutture, occupazione. Inoltre vengono introdotte esplicitamente iniziative raggelanti: dal ritorno al carbone e al nucleare, dalla caccia fino ai parchi… Se dovesse continuare questa impostazione di governo le preoccupazioni diventerebbero altissime, perché si tratta di una visione fortemente economicistica che non tiene in nessun conto della capacità di carico del sistema e che ci consegnerebbe un futuro davvero buio per l’ambiente.
Da parte dell’Unione c’è molta più coerenza, e una buona trasversalità sia come qualità che quantità della sostenibilità ambientale nei vari settori. Ci sono però cose innegabilmente preoccupanti: il programma di Prodi per esempio non è chiaro rispetto al carbone, alla Tav, al Mose, mentre lo è sul Ponte di Messina. Diciamo che nel caso di vittoria dell’Unione bisognerà tenere alcuni a catena corta, cercando di riportare alcune spinte interne nella più generale filosofia di sostenibilità contenuta nel programma».

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