[24/04/2008] Energia

L´analisi dell´Aper sulle bioenergie, tra speranze e contestatazioni

LIVORNO. Dopo idroelettrico, eolico e fotovoltaico, l’Aper ha presentato anche un report sulle bioenergie. Probabilmente queste sono quelle più al centro delle attenzioni in questi giorni a causa della levata di scudi – senza dubbio argomentata ma un po’ troppo tranchant e spiegheremo poi perché – contro biocarburanti e centrali a biomasse, i primi perché affamerebbero popoli causando l’aumento dei prezzi di riso, pane e cereali; le seconde perché approvvigionandosi in larga parte con materia prima proveniente da da deforestazioni in Malesia e Indonesia creano problemi di sostenibilità ambientale e sociale. Problematiche di cui greenreport dà notizia praticamente ogni giorno e nodo da sciogliere importante perché se è vero che le bioenergie hanno impatti ambientali che possono essere insostenibili, è altresì vero che li creano laddove non sono state sfruttate come componente di un mix di fonti alternative scelte secondo il criterio direttore della sostenibilità, bensì come fonte energetica da sfruttare tale e quale (e con stessa modalità) a quelle fossili. Errore marchiano con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

«Il costante aumento dei prezzi dei combustibili fossili – spiega l’Aper - e le crescenti incertezze sulle garanzie di approvvigionamento, unite alle recenti politiche europee volte alla riduzione dei gas climalteranti, stanno contribuendo in questi ultimi anni a creare le basi per uno sviluppo sempre crescente delle fonti rinnovabili ed, in particolare, delle bioenergie. A livello italiano a segnare il principale passo dell’ultimo anno verso lo sviluppo delle bioenergie, sono la Legge Finanziaria 2008 (L. 24/12/2007 n.244) ed il cosiddetto “collegato” alla finanziaria stessa, (decreto legge 159/07 convertito in Legge 29/11/2007 n.222), che introducono la tanto auspicata riforma del sistema dei certificati verdi e gettano le basi per imprimere un deciso impulso al settore bioenergetico ed, in particolare, alle agrienergie». Almeno sul piano formale in Italia, ricorda l’Aper, «la produzione di energia elettrica da biomasse da filiera corta (prodotte entro 70 km) o da intese di filiera, viene incentivata con un coefficiente di maggiorazione dei certificati verdi pari a 1.8, superiore a quello introdotto per tutte le altre fonti rinnovabili. Discorso analogo vale per l’incentivazione dell’energia prodotta da impianti di potenza inferiore a 1 MW, che, in alternativa ai certificati verdi, può beneficiare di una tariffa fissa omnicomprensiva di 30 € cent/KWh. Secondo quanto stabilito dalla legge 222 inoltre, per le sole bioenergie esiste la possibilità di cumulo dei certificati verdi con altri contributi in conto capitale o interessi».

Ma cosa si intende per bioenergie? «La produzione di energia da biomasse, o bioenergia, comprende processi che sfruttano una grande varietà di materiali di natura estremamente eterogenea. Secondo il Dlgs 29 dicembre 2003, N. 387 biomassa è “la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali ed animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali ed urbani”».

Per tracciare un bilancio sintetico del settore delle bioenergie, dice nel report l’Aper, è opportuno tuttavia suddividere il mondo delle biomasse almeno in tre filiere principali:

Biomasse solide, costituite principalmente da prodotti o residui forestali ed agricoli, destinati a combustione per la generazione di energia termica ed elettrica

Biocombustibili liquidi che includono oli vegetali destinati a combustione e biocarburanti per autotrazione

Biogas generato dalla fermentazione di prodotti e rifiuti organici e destinato alla produzione di energia

Un segnale del crescente sviluppo delle bioenergie in atto negli ultimi anni, prosegue l’Associazione produttori energie da fonti rinnovabili - può essere tratto dal numero di impianti qualificati Iafr (Impianto alimentato a fonti rinnovabili) che, pur non costituendo la totalità degli impianti a biomassa esistenti (sono esclusi, ad esempio, tutti quelli in convezione Cip 6), rappresenta un utile indicatore degli sviluppi di questo settore. Vediamo qualche numero: gli impianti a biomasse a maggio del 2004 qualificati Iafr erano 90 con una potenza complessiva pari a 563 MW e di producibilità di 1.587 GWh. In progette ce ne erano altre 33. Nel giugno 2005 in esercizio ce ne erano 146 e 53 in progetto, nel giugno 2006 192 e 53 in progetto e nel luglio 2007 245 (potenza 969 Mwe riproducibilità 2.744 GWh) e 238 in progetto.

«Accanto allo sfruttamento energetico delle biomasse solide, che costituiscono, storicamente, la fonte di produzione di bioenergia più consolidata e diffusa nel nostro paese – prosegue nel report l’Aper - stanno emergendo con sempre maggior forza le filiere del biogas e, soprattutto, dei biocombustibili liquidi. Lo sfruttamento energetico del biogas è ancora strettamente connesso alla gestione delle discariche, dalle quali proviene circa l’80% del biogas utilizzato. Tuttavia il settore agricolo sta giocando un ruolo sempre più determinante e, grazie alle agevolazioni della PAC e delle leggi Finanziarie 2006 e 2007, ma soprattutto, agli incentivi previsti dalla Finanziaria 2008 e dalla Legge 222, le iniziative in campo agroenergetico sono in forte crescita. La filiera che ha attratto il maggior interesse nell’ultimo anno è tuttavia indubbiamente quella dei biocombustibili liquidi. Gli incentivi, i rendimenti, le agevolazioni fiscali, hanno contribuito al moltiplicarsi delle iniziative in questo settore, determinando una vera e propria corsa all’olio. La crescita dell’interesse verso questa filiera ha però determinato anche una forte impennata dei prezzi di approvvigionamento della materia prima, creando i presupposti per un ampliamento delle prospettive del settore, che, accanto allo sfruttamento degli oli vegetali “tradizionali” come quello di palma, sta vedendo il nascere di ricerche e sperimentazioni su biocombustibili alternativi (quali ad esempio l’olio di jatropha)».

«La filiera degli oli vegetali è potenzialmente in grado di fornire un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi in materia di fonti rinnovabili – spiega sempre l’Aper - , tuttavia la scarsa produttività delle colture oleaginose nel nostro paese e gli elevati prezzi, hanno determinano un ricorso sempre più frequente all’importazione di tali biomasse dall’estero». Ma qui, come detto in precedenza, sorgono i primi dubbi e le prime certezze, sulla sostenibilità di questa filiera e l’Aper non lo nasconde: «L’approvvigionamento delle biomasse da paesi quali la Malesia o l’Indonesia, alimenta un acceso dibattito sulla sostenibilità ambientale della materia prima utilizzata e sulla concorrenza con le derrate alimentari, che ha contribuito allo sviluppo di un sistema di incentivazione che premi maggiormente la filiera corta, ed ha spinto la Commissione Europea, nella bozza di Direttiva sulle fonti rinnovabili attualmente in discussione, ad elaborare degli specifici criteri sulla sostenibilità dei biocarburanti perché questi possano concorrere al raggiungimento degli obiettivi al 2020».

L’Aper chiude il suo report con un’analisi delle prospettive e delle criticità del settore: «La commissione Europea ha recentemente deciso che l’Europa dovrà ottenere il 20% della propria energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Per l’Italia in particolare, la proposta di direttiva per la promozione dell’utilizzo dell’energia da fonti rinnovabili (Bruxelles, 23 Gennaio 2008) prevede un obiettivo vincolante del 17% di energia da FER sui consumi finali al 2020. Contestualmente gli Stati Membri dovranno garantire l’introduzione di biocarburanti nel settore dei trasporti pari ad almeno il 10% dei consumi finali. Le politiche europee e nazionali e, in particolare, i contenuti del nuovo sistema d’incentivazione, sembrano creare tutti i presupposti per imprimere un’accelerata al settore delle bioenergie».

Ma c’è un ma, ovvero in parte le critiche pretestuose e in parte quelle cogenti: «Gli scogli da superare sono tuttavia ancora molti. Per poter attuare quanto disposto dalla legge Finanziaria, ad esempio, è necessaria l’emanazione di una serie di decreti, ad oggi non ancora elaborati. Tali decreti dovranno definire, tra le altre cose, le modalità di applicazione della tariffa incentivante per gli impianti di piccola taglia e le modalità di garanzia della provenienza e tracciabilità della filiera. I ritardi nell’emanazione dei decreti, i frequenti ostacoli nell’iter autorizzativo o nelle procedure di connessione degli impianti alla rete, la scarsa accettabilità delle centrali a biomasse e la sindrome Nimby, sono alcuni dei fattori che rallentano lo sviluppo delle bioenergie nel nostro paese, rendendo vani i benefici di un sistema di incentivazione fra i più vantaggiosi in Europa e determinando elevati sovra costi che costituiscono il reale scoglio al raggiungimento degli obiettivi in materia di fonti rinnovabili».

La situazione Toscana, non affrontata nel report, è comunque piuttosto nota, soprattutto per quanto riguarda gli impianti a biomasse. Al di là delle contestazioni, che sono trasversali su tutte le fonti rinnovabili (dall’eolico al fotovoltaico), la burocrazia e le leggi di difficile interpretazione – in attesa della definitiva approvazione del Pier – hanno portato ad ok ad impianti (vedi quello di Montegemoli a Piombino per esempio) che nulla hanno di sostenibile almeno dal punto di vista dell’approvvigionamento della materia prima (ovvero filiera lunga). Insomma, un quadro in chiaro scuro che speriamo il Pier – che punta sulla filiera corta - possa in qualche modo migliorare. Ricordiamo che le previsioni al 2020 del Pier, tenuto conto delle tonnellate di biomassa annualmente disponibili, è la seguente: impiego, entro il 2020, di circa mezzo milione di tonnellate dui biomassa nella produzione di energia elettrica, ciò presuppone una potenza di circa 60 Mw elettrici, cui si uniscono 40 Mw di energia prodotta da biogas e rifiuti, in totale avremo una producibilità al 2020 di circa 1.100 Gwh; e poi 2 milioni di tonnellate di biomassa nella produzione di energia termica, che presuppone una potenza di circa 600 Mw termici che, con un funzionamento medio di 6.000 ore/anno, potrà contribuire a rispondere alla domanda di energia termica per poco meno del 10%.

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