[21/04/2008] Consumo

L´insostenibile parabola degli outlet

LIVORNO. In principio si pensò a un modo per recuperare e rendere valore e dignità a capi di abbigliamento e merci di marca finiti fuori produzione o per piccoli difetti o perché di fine serie. Lo spaccio nostrano era questo ed aveva quindi in sé anche un vago sentore di recupero di beni che potevano ancora essere utilizzati nonostante la società li avesse scartati. Ma poi arrivarono gli outlet e il modello americano dello spaccio postmoderno cambiò anche da noi tutte le carte in tavola, con l’attenzione sul prodotto che viene sfocata e spostata sul luogo: tecnicamente infatti la parola outlet – traduzione: fuori? Altrove? – indicava negli Stati Uniti la combinazione virtuosa tra costo del terreno (quasi sperduto rispetto ai grandi centri, quindi quasi senza valore), e la vastità della costruzione che consentiva, a costi bassi, di ospitare un numero altissimo di punti vendita, nonché la disponibilità di parcheggi quasi senza limiti, e in molti casi il funzionamento di «navette» che facilitano l’accesso.

L’altrove che ha consacrato il successo degli outlet americani è rapidamente trapiantato nel paesaggio italiano, nonostante le enormi differenze ambientali, e ha ragione Aldo Cazzullo, autore di “Outlet Italia, viaggio nel Paese in svendita” ad affermare che l’outlet italiano è al contrario l’ingresso in una materializzazione fisica della televisione, spot e programmi, l’outlet è il passaggio di frontiera dal fuori al dentro del più domestico degli oggetti, lo schermo della televisione di casa.

La formula premia. E mentre le guerre per il pane incombono sempre più vicine ai confini dell’Occidente, mentre in Italia sorgono alti lai per i consumi che non tirano più, per la crescita ferma allo zero virgola poco, per la stagnazione e per i generi di prima necessità più cari, gli outlet fanno segnare crescite degne della Cina: Fidenza Village ha reso noto che il fatturato dei primi 3 mesi del 2008 ha fatto segnare +42% rispetto allo stesso periodo del 2007 (che pure aveva segnato un +26% rispetto al 2006, che a sua volta era cresciuto del 45% rispetto al 2005 e via dicendo…).

Milioni di persone che ogni anno si mettono in autostrada per visitare le Disneyland dello shopping sono un esercito che descrive bene l’andamento dell’economia occidentale: l’invasione festiva a queste cittadelle del lusso fa a pugni solo apparentemente con le code nei discount dei giorni feriali, dove si acquistano barattoli di fagioli a 25 centesimi e vino doc a un euro.

Ogni outlet infatti è stato pensato nei minimi dettagli per regalare al cliente, non importa se benestante o da discount, un’evasione dalla quotidianità del sopravvivere giornaliero ed entrare nel mondo dorato delle soap opera e dei real tv: ovunque piante rigogliose, colori accoglienti e sorrisi a 24 denti accolgono il visitatore a cui si promettono ore di svago e di relax tra concerti, performance, iniziative culturali “per coccolare gli ospiti a 360 gradi”.

Che poi alla fine però devono comprare, perché altrimenti non sarebbe valsa la pena farsi tutti quei chilometri in macchina. E se proprio qualcuno ha difficoltà a tirar fuori il portafogli, o semplicemente a decidere, il personale degli outlet ha una risposta anche per questo: col personal shopper da affittare a ore si riceveranno i consigli e le dritte migliori per acquisti esclusivi ed emozionanti, in grado di far crepare di invidia i colleghi di lavoro al lunedì e magari anche quelli che la sera si incroceranno tra gli scaffali del Penny market.

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