[15/04/2008] Comunicati

Unep: agricoltura ambientalmente e socialmente insostenibile

LIVORNO. La maniera in cui il mondo coltiva il cibo dovrà cambiare radicalmente se si vogliono affrontare davvero i bisogni degli affamati e dei poveri e far fronte alla crescita demografica ed ai cambiamenti climatici, evitando un collasso ambientale e sociale. E’ quanto emerge dal rapporto dell’International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development (Iaastd) redatto da oltre 400 scienziati e reso noto oggi dal Programma Onu per l’ambiente (Unep) che è stata approvata dai rappresentanti di 64 governi riuniti a Johannesburg.

«Gli autori hanno esaminato fame, povertà, ambiente ed equità nel loro insieme – spiega Robert Watson (Nella foto) direttore dell’Iastd - tutti settori mal gestiti ed ai margini dell’attuale sistema. Gli incentivi alla scienza per affrontare i problemi sono importanti per i poveri e per i deboli... I paesi poveri in via di sviluppo sono nettamente perdenti nello scenario della liberalizzazione del commercio».

L’agricoltura moderna ha certamente portato a notevoli incrementi nella produzione alimentare, ma i vantaggi non sono stati distribuiti in maniera uniforme e sono avvenuti ad un prezzo sempre più intollerabile, pagato dai piccoli agricoltori, dai lavoratori, dalle comunità rurali e dall’ambiente.

Sempre più persone ed organizzazioni esprimono però la volontà di coniugare la produzione ad obiettivi sociali ed ambientali, ma questo percorso virtuoso, secondo, Hans Herren uno dei copresidenti dell’Iaastd, è ostacolato «da posizioni politiche ed economiche controverse. In particolare per quel che riguarda i Paesi membri dell’Ocse che sono profondamente contrari a qualsiasi cambiamento dei sistemi commerciali o delle sovvenzioni. Senza queste riforme molti Paesi poveri vivranno tempi molto difficili».

Il rapporto valuta i modi con i quali affrontare le sfide legate alla realizzazione di un quadri di iniziative istituzionali, economiche e legali che combinino produttività e protezione e conservazione delle risorse naturali come suolo, acqua, foreste e biodiversità. «In molti Paesi – si legge nel rapporto – si dà il cibo per scontato, e i contadini ed i lavoratori agricoli sono, in molti casi, poco premiati per la loro attività di amministratori di quasi un terzo delle terre del pianeta. Garantire investimenti diretti nelle scienze agrarie è nell’interesse pubblico, l’educazione la formazione e degli agricoltori diminuisce proprio nel momento in cui è più necessaria».

Gli autori hanno valutato i risultati di progetti e riunito una gran messe di dati e ne traggono la conclusione che non abbiamo tempo da perdere se vogliamo cambiare rotta. Una cosa è certa: continuando così esauriremo le risorse e metteremo in pericolo l’avvenire dei nostri figli. E non si tratta certo di estremisti no-global, ma di tranquilli professori come Bob Watson, direttore dell’Iaastd che dice: «Affermare, come facciamo noi, che continuare a concentrarsi sulla produzione significa minare il nostro capitale agricolo e ci lascia un pianeta sempre più degradato e diviso, è ribadire un vecchio messaggio. Ma è un messaggio che non ha avuto molta risonanza in alcune parti del mondo. Se i potenti sono ora disposti ad ascoltare, allora possiamo sperare in politiche più eque che prendano in considerazione gli interessi dei poveri».

E Judi Wakhungu, una delle redattrici del rapporto finale, conclude: «Dobbiamo cooperare adesso perché nessuna singola istituzione, nessun singola Nazione, nessuna singola regione, è in grado di affrontare il problema da sola. Il momento è adesso».

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