[10/04/2008] Comunicati

Greenwashing, come misurare gli effetti reali?

LIVORNO. L’inserto quotidiano di Italia Oggi dedicato ai professionisti di marketing, media e pubblicità assomiglia sempre di più a un inserto ambientalista (e forse non a caso è sponsorizzato da LifeGate): gli amministratori delegati che si susseguono in queste pagine raccontando le loro strategie di marketing finiscono infatti quasi sempre per andare a finire sull’ecologia. Oggi è la volta del gruppo Candy e della Epson che promettono la stessa cosa: nuove linee di prodotti attente all’efficienza e alla sostenibilità finalizzate però ad un unico (e inevitabile dal punto di vista del mercato) obiettivo: aumentare i profitti aumentando la produzione.

Cosa sarà più impattante sull’ambiente? Il milione di pezzi prodotti da Candy lo scorso anno, oppure i 2,2 milioni di pezzi super-efficienti, super-ecologici e super-sostenibili cha saranno prodotti nel 2010?

Oppure quanto costerà smaltire i 4 milioni di stampanti laser vendute in Italia in questi mesi (mesi, perché l’obsolescenza è programmata, guarda caso ai 2 anni della garanzia), e che Epson mira a sostituire con le nuove-vecchie stampanti ink jet che consumano il 90% in meno ed hanno raggiunto ormai le stesse prestazione di quelle laser?

L’amministratore delegato di Epson Italia Massimo Pizzocri lo ammette: «l’economia che fa bene all’ecologia. Questa frase spiega bene la nostra strategia: se riusciamo a rendere sostenibile la strategia dando vantaggi economici allora ci si può credere fino in fondo».

Sia ben chiaro: ben venga la ricerca (42 milioni nel 2007 per Candy) che contribuisce a orientare verso produzioni più sostenibili e ben venga anche l’utilizzo della sostenibilità per migliorare la propria immagine (greenwashing). Ma l’importante è contestualizzare bene l’informazione che viene data, e magari essere capaci di leggerla nella sua interezza che nel caso delle merci che acquistiamo significa considerare gli impatti sull’ambiente durante l’intero ciclo di vita del prodotto.

E qui si innesca un altro problema: la difficoltà di avere indicatori riconosciuti e riconoscibili in grado di misurare gli impatti delle nostre azioni e delle nostre merci, ma sarebbe meglio dire la difficoltà da parte di chi governa, a vari livelli, di parametrarsi con un mondo finito (nel senso di risorse non infinite) utilizzando indicatori che in realtà esisterebbero già ma sono misconosciuti: il Life cycle assessment è per esempio un metodo corretto di valutazione e quantificazione dei carichi energetici ed ambientali e degli impatti potenziali associati ad un prodotto/processo/attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita.

Inoltre, poiché di fondamentale importanza per la buona riuscita di uno studio di Lca è la disponibilità di dati attendibili (che molto spesso neppure vengono raccolti), in campo internazionale ed europeo si sta cercando di favorire l’accessibilità, la disponibilità e lo scambio gratuito e libero di dati Lca attraverso lo sviluppo di banche dati pubbliche, protette, compatibili, trasparenti ed accreditate.

Qualcosa si muove dunque, ma mentre a piccoli passi ci si dirige in questa direzione, il resto del mondo va di gran carriera verso la parte opposta, correndo dietro la finanziarizzazione dei mercati, salvo poi accorgersi, come dichiarato ieri dal Fondo monetario internazionale davanti allo spettro recessione, che sarebbe auspicabile un’azione dei governi e delle autorità per contenere la crisi!!!

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