[07/04/2008] Consumo

Consumo e produzione sostenibili: quale strategia per l´Italia?

LIVORNO. La Commissione europea deve presentare nel corso di quest’anno il proprio Piano d’azione per la produzione e il consumo sostenibile con l’obiettivo di delineare gli interventi necessari ad incidere sugli attuali modelli di produzione e consumo.

Anche l’Italia è ovviamente chiamata a dare il suo contributo e per questo motivo poche settimane fa è stato pubblicato il documento preliminare per la strategia italiana sullo sviluppo sostenibile, indicata anche all’interno del Dpef 2008-2011, che dovrebbe prendere due strade ben precise: nei confronti dei produttori l’obiettivo è quello di «stimolare e premiare l’innovazione e qualunque soluzione gestionale, organizzativa, o di design del prodotto, processo o servizio nel suo complesso, che porti alla valorizzazione ambientale dei prodotti considerando il loro intero ciclo di vita».
Nei confronti dei consumatori invece l’Italia deve puntare a «sensibilizzare ed educare, facendo in modo che essi abbiano accesso al numero più ampio possibile di prodotti e servizi migliori sotto il profilo ambientale; in una prospettiva di più lungo periodo, deve promuovere un cambiamento culturale che porti gli individui a muoversi verso un’idea di benessere basata sull’accesso piuttosto che sul solo possesso di prodotti, inteso come accesso ai servizi, alla conoscenza, ai beni comuni, modificando scelte e comportamenti».

L’Italia dovrà redigere anche uno specifico Piano d’Azione per la produzione e il consumo sostenibile da emanarsi entro i primi mesi del 2008: lo scopo del Piano è quello di identificare e superare le barriere alla diffusione di modelli di consumo e produzione sostenibili, aumentare la consapevolezza tra i cittadini e cambiare le abitudini insostenibili.

Se l’obiettivo di sviluppare una produzione e un consumo più sostenibile si raggiunge lavorando contemporaneamente su questi due percorsi (produttori e consumatori), è importante anche sapere su quali strumenti si potrà contare, e i tecnici incaricati dal ministero dell’ambiente di predisporre il documento preliminare hanno individuato subito l’errore da correggere prima possibile.

«Finora il modello di produzione e consumo adottato dai paesi “ricchi” e in corso di adozione da parte delle economie emergenti – si legge nell’analisi - si è basato su obiettivi di crescita economica che non hanno tenuto conto dei limiti di carico del sistema naturale, della scarsità e dei tassi di rinnovo delle risorse, spesso nemmeno del benessere e della salute dei cittadini.
Nel corso degli ultimi tre decenni nei paesi economicamente più avanzati la produzione si è sviluppata soprattutto nel settore dei servizi, ma gli effetti positivi di questo fenomeno sono stati controbilanciati dal fatto che la produzione nei settori ad alta intensità di materiali ed energia si è spostata nei paesi emergenti».

Affinché questo documento non sia soltanto l’ennesimo elenco di buoni propositi, è necessario cambiare effettivamente il modo di leggere la realtà: anche se i titoli dei giornali, le promesse dei politici e le speranze degli imprenditori vanno nell’unica e bipartisan direzione della priorità sempre e comunque della crescita del Pil, è necessario pensare a un modello di sviluppo sostenibile e quindi ad altri indicatori in grado di leggere la qualità dello sviluppo.

Nella speranza che la teoria prima o poi faccia breccia anche nella pratica diamo quindi conto del fatto che in questo documento preliminare c’è la consapevolezza della necessità di integrare una serie di indicatori, peraltro già disponibili, che prendono in esame sia i flussi di materia che di energia. La Commissione europea infatti individua tre indicatori complessi come chiave per la sostenibilità dei consumi e della produzione: il primo è denominato “Produttività delle risorse” (Resource productivity) che si ottiene dal rapporto tra Pil e Dmc (Domestic material consumption) cioé Consumo interno di materiali.
Il secondo indice suggerito dal documento preliminare è quello dell’intensità energetica e il terzo è quello della produzione di rifiuti urbani (ancora una volta si ignorano i rifiuti speciali, che sono almeno 3 volte più degli urbani).

Oltre alla necessità di monitorare l’andamento di questi indicatori complessi (Dmc, intensità energetica, produzione di rifiuti urbani pro capite), il documento suggerisce di utilizzare strumenti e informazioni più semplici per misurare l’efficacia in termini di riduzione degli impatti delle azioni intraprese dall’attuazione della Strategia per il consumo e la produzione sostenibile.

Agli indicatori prima citati è quindi necessario affiancare indicatori che diano misura della “qualità della vita”
«Tali indicatori tuttavia – e qui il documento rinvia il tutto a data da destinarsi - sebbene già proposti in diversi studi sono più difficilmente definibili e misurabili ed hanno un maggiore margine di opinabilità, per cui ne risulta più difficile la condivisione. E’, quindi, opportuno e necessario, affrontare il tema dei nuovi indicatori nella fase successiva alla presentazione e discussione di questo “documento preliminare”, cioè nella fase di
predisposizione dalla nuova strategia italiana sullo sviluppo sostenibile».

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