[02/04/2008] Aria

Chi inquina pagherebbe... L´Ue condonerà le nostre inadempienze?

LIVORNO. La bozza di direttiva comunitaria, di cui si prevede l’approvazione nella primavera del 2009 e con la quale la Commissione Europea ripartisce fra gli stati membri gli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici (le tre venti), sanciti dal Consiglio Europeo nel marzo del 2007, assegna all’Italia un ruolo di assoluta retroguardia. C’è su questa questione un punto politico di grande rilevanza che decide molto del futuro del nostro paese e su cui si misura la credibilità dell’impegno ambientalista delle varie forze politiche.

La domanda a cui rispondere è: l’Italia, rispetto alla decisione europea di lotta al riscaldamento globale, intende esserne protagonista e quindi investire nel proprio futuro, cogliendo le opportunità di sviluppo economico e di nuovi posti di lavoro offerti dalle nuove tecnologie delle fonti rinnovabili e dell’efficienza? Oppure, come ha fatto finora per il protocollo di Kyoto, rimanere un paese inadempiente che paga multe?

Se si guarda agli obiettivi di riduzione della CO2, assegnati dalla direttiva al nostro paese e, in misura minore, a quelli di sviluppo delle fonti rinnovabili, sembra confermato il nostro ruolo di assoluta retroguardia. La cosa grave è che questa deriva è stata scelta da chi ha governato questo paese: prima dalla destra che seppellì Kyoto, e poi dal governo Prodi che, nella fase in cui si definiva la ripartizione degli impegni sulle tre venti, ha di fatto preferito accogliere il lamento del sistema industriale italiano.

Il trucco è molto semplice: si è stabilito che l’obiettivo di riduzione assegnato ai singoli stati non è più calcolato sulle emissioni del 1990, bensì su quelle del 2005. Ciò ha determinato impegni ancora più ambiziosi per i paesi che al 2005 avevano già ridotto le emissioni rispetto al 90 e un vero e proprio condono per quelli inadempienti (+12% rispetto al 90) come l’Italia. In altre parole dovremo rispetto al 90 ridurre entro il 2020 del solo del 5,5, meno cioè di quanto Kyoto prevedeva per il 2012 (-6,5). Stesso ragionamento anche per quanto riguarda le fonti rinnovabili dove, è previsto uno sconto per cui le si dovrà sviluppare del 17% anziché del 20% come prevede la direttiva.

Il significato di questa scelta è semplice: nel nostro paese non vedremo svilupparsi né un sistema moderno di mobilità, collettivo ed intermodale basato sul ferro e sul cabotaggio marino, né una graduale uscita dai fossili, né un nuovo modello energetico distribuito e basato sul risparmio e le fonti rinnovabili, né un nuovo sistema fiscale che, seguendo il principio del “chi inquina paga”, sposti la pressione fiscale dal lavoro, all’inquinamento e al consumo di aria, acqua e territorio, né la piena occupazione attraverso il soddisfacimento dei bisogni collettivi di ambiente, cultura e salute, né una riconversione industriale ed innovazione di prodotti e tecnologie, né infine ricerca e formazione, in poche parole i capitoli di un nuovo modello di sviluppo che la scarsità delle risorse e il cambio di clima sollecitano e rendono oggettivamente necessario.

Per colpevole scelta politica e per volontà di interessi retrivi del sistema industriale italiano continueremo invece con le grandi opere e il cemento, col petrolio, il carbone e gli usi dissennati dell’energia. E’ il caso che questa questione irrompa nello scontro elettorale per verificare se ci sono le condizioni politiche per cambiare questa direttiva.

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