[01/04/2008] Comunicati

Elezioni 2008, a caccia di economia ecologica nelle liste: Pd

Dal rapporto Ipcc nessuno può più far finta di niente: l´economia o sarà ecologica o rimarrà sepolta dalle sue insostenibili contraddizioni ambientali e sociali. Come mai questo metaobiettivo (che potrebbe essere il vero obiettivo bipartisan) è praticamente ignorato da tutti (o quasi)? Qual è la vostra posizione?
«Ormai il rapporto stretto che c’è non solo tra il futuro ambientale ed economico e la capacità che avremo di affrontare in particolare i cambiamenti climatici, credo sia largamente presente ai cittadini, all’opinione pubblica e cominci a farsi strada nella politica. In Europa sicuramente questo sta avvenendo visto che tutti i principali leader, in particolare quelli di centrosinistra ma non solo, ormai mettono ai primi posti del loro discorso pubblico proprio la questione della lotta ai mutamenti climatici e l’esigenza di cambiare radicalmente i modelli energetici. La politica italiana adesso è in ritardo rispetto a questa presa di coscienza e credo che una delle ragioni di maggiore ottimismo, per quanto mi riguarda, legata alla nascita del Pd è che il Pd ha messo al centro della sua analisi e anche della sua proposta questo tema. L’ha messo con Veltroni che dal primo discorso all’inizio della sua avventura, quello del Lingotto, prima come candidato segretario e poi segretario del Pd, disse che una delle quattro gradi sfide che segnavano il progetto del partito democratico era proprio la questione ambientale e in particolare quella della lotta ai mutamenti climatici. Questo stesso concetto lo ha ribadito in tutte le occasioni più importanti in cui ha delineato l’orizzonte del Pd e infatti sono questioni e temi centrali nel programma. Tant’è che uno dei 12 punti strategici si chiama l’ambientalismo del fare ed ha come obiettivo, usando uno slogan che credo efficace di Veltroni, quello di rottamare il petrolio rilanciando una grande politica di efficienza energetica e risparmio energetico che l’Italia ha abbandonato da molti e molti anni e puntando dunque sul decollo delle energie rinnovabili. Dall’altra parte la destra italiana continua invece a essere la destra largamente più anti-ambientalista d’Europa. In Europa infatti anche leader conservatori come Cameron e la Merkel parlano molto di ambiente e fanno anche scelte importanti per contrastare i mutamenti climatici, mentre in Italia fino a qualche anno fa addirittura il centrodestra negava l’esistenza del problema. Ricordiamo che Berlusconi nel primo discorso che tenne come presidente del consiglio in parlamento nel 2001, disse che i mutamenti climatici erano un falso problema inventato dagli ambientalisti. Ma anche oggi il popolo delle libertà ignora questa questione e quando lo fa ne parla in maniera assai discutibile, per esempio rilanciando l’energia nucleare che certamente non è la risposta alla sfida rappresentata mutamenti climatici, se non altro l’energia nucleare che conosciamo e che non ha minimamente risolto il problema delle scorie. Credo che in campo, se rimaniamo ai due schieramenti che hanno le maggiori possibilità di avere la maggioranza degli elettori italiani, ci siano due proposte che sono molto lontane e diverse».

Economia ecologica, economia sostenibile, significa governo democratico dei flussi di energia e di materia. Significa più governo collettivo (cioè più politica) e meno "dinamiche autonome" del mercato (cioè economia come sottosistema della politica e non il contrario). E´ d´accordo?
«In parte sono d’accordo. Nel senso che sicuramente gli indirizzi generali della politica energetica debbano essere fissati da chi ha ricevuto il consenso dei cittadini. E quindi gli indirizzi della politica energetica non possono essere lasciati alla libera valutazione del mercato. Io credo però che oggi il mercato, se ben regolato e ben indirizzato, possa essere un grande alleato nel cammino per rinnovare i sistemi energetici. Perché oggi per esempio è un grande interesse delle imprese quello di migliorare l’efficienza energetica del nostro paese. Più efficienza energetica, significa produrre la stessa quantità di beni e servizi consumando meno energia, quindi vuol dire più competitività delle nostre imprese. Imprese che, se invece questo investimento non lo faranno, rischiano di perdere posizioni competitive nei confronti delle imprese di paesi come la Germania, come il Regno Unito e come gran parte dei paesi europei che su questo fronte hanno investito, e stanno investendo, molto. In generale io penso che la liberalizzazione dell’offerta di energia, ripeto, se regolata da indirizzi chiari e vincolanti da parte di chi governa, può anche mettere in movimento una sorta di competizione virtuosa a chi offre i servizi più efficienti, ecologicamente più interessanti e scommette sulle energie rinnovabili. Così è in tutta Europa, ad esempio in Germania, dove appunto l’indirizzo della politica è stato un indirizzo fortemente incentivante e oggi il comparto delle rinnovabili ha dato lavoro a oltre 200mila persone, con migliaia di imprese innovative. La riconversione energetica, quindi, è una grande occasione per l’economia e anche per l’impresa e per chi vive di impresa».

Economia ecologica significa ottimizzazione e riduzione dei flussi di energia e di materia. Come mai sulla necessità di intervenire sui flussi di energia quasi tutti sono d´accordo (a parte il come che non è secondario) ma sui flussi di materia c´è il silenzio assoluto (a parte il segmento finale dei rifiuti sul quale tutti fanno riferimento alle direttive europee che prevedono il ciclo integrato con riduzione, recupero di materia, recupero di energia, smaltimento in discarica)?
«Questo dipende un po’ dal fatto che quando si parla dell’esigenza di ridurre i consumi energetici e migliorare l’efficienza energetica se ne parla a fronte di un problema che è già tra di noi, quello dei mutamenti climatici. I mutamenti climatici sono già un fatto, una realtà: provocano danni ambientali e danni alle persone. Il rapporto Stern ha detto che se non faremo il necessario per contrastare i mutamenti climatici pagheremo anche dei costi economici rilevantissimi che rischieranno di mettere in ginocchio le nostre economie. Quindi c’è una maggiore consapevolezza anche dell’esigenza molto realistica di affrontare questo problema. Quando si parla invece della necessità di ridurre i consumi di materie prime, non solo di energia, la connessione con le prospettive del progresso e del benessere non è ancora così radicata, né tra le persone né tanto meno tra le imprese e tra i governi e quindi c’è ancora una maggiore difficoltà a mettere anche questo altro aspetto al centro delle analisi che si fanno sul presente e sul futuro. Credo che uno dei compiti dei tanti ambientalisti che hanno scelto di aderire al partito democratico è, e sarà, proprio quello di rinnovare lo sguardo e la visione del riformismo, in questo caso del riformismo italiano, anche per quanto riguarda appunto quest’altra esigenza di disaccoppiare l’aumento della ricchezza dall’aumento del consumo delle materie prime. Nessuno può avere dubbi sulla necessità di produrre anche più ricchezza se la ricchezza significa più valore, invece di dubbi ce ne sono e ce ne devono essere tanti sulla possibilità che questo tipo di sviluppo sia uno sviluppo a cui corrisponde un prelievo continuamente in crescita del cosiddetto capitale naturale»

Questo quotidiano si è più volte espresso a favore dell’utilizzo della leva fiscale per orientare l´economia verso la sostenibilità (meno tasse al lavoro più tasse alle produzioni e ai consumi inquinanti): lei è d´accordo?
«Sono assolutamente d’accordo, penso che la leva fiscale sia decisiva per attuare e concretizzare i cambiamenti che noi come ambientalisti del Pd proponiamo. Nel programma del Pd, infatti, c’è un riferimento esplicito alla possibilità di introdurre una energy carbon tax che era stata tra l’altro una ipotesi già in parte concretizzatasi quando governava il primo governo Prodi e quando ministro dell’ambiente era Edo Ronchi, oggi dirigente del Pd. Poi però venne abbandonata e io credo che quella prospettiva vada invece ripresa perché è una prospettiva verso la quale si stanno muovendo tanti paesi europei e la stessa Ue. Se noi vogliamo davvero avvicinare la fuoriuscita dalla dipendenza dal petrolio e dai combustibili fossili, bisogna necessariamente rendere meno conveniente il consumo dei combustibili fossili e invece più conveniente il ricorso ad altre fonti di energia, al risparmio energetico, al miglioramento dell’efficienza. E per fare questo la leva fiscale è assolutamente insostituibile».

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