[31/03/2008] Monitor di Enrico Falqui

Freezing Point

FIRENZE. L’epoca “delle vacche grasse” dei combustibili fossili a buon mercato e dell’energia da fissione nucleare sta per esaurirsi, dal momento che abbiamo già superato il picco del petrolio e quello del carbone, mancano pochi anni ancora al superamento del picco del plutonio (materia prima essenziale per il ciclo nucleare civile e militare), abbiamo qualche anno in più prima di avvicinarsi anche a quello del gas. Jean Philippe Platteau, docente alla Facoltà di Scienze economiche e sociali dell’Università di Parigi, sostiene che è stata proprio «..l’accessibilità a basso costo dei combustibili ad aver determinato l’espansione dell’industrializzazione, poiché è provato che in quei Paesi, dove invece i combustibili da fonti fossili raggiungono un prezzo elevato, l’industrializzazione non ha fatto alcun progresso e non si è diffusa».

Nell’analisi di Platteau è interessante osservare che i Paesi esportatori di petrolio sovvenzionano il combustibile, mantenendoli sotto al prezzo di mercato per il petrolio ( 0,38 dollari per litro), mentre invece i Paesi importatori di petrolio ( quale è l’Italia) tassano i combustibili, mantenendo i prezzi al di sopra del prezzo di mercato globale del petrolio.

In questo modo, in Venezuela, paese esportatore di petrolio il combustibile costa 0,03 dollari al litro mentre nella confinante Colombia, paese importatore, lo stesso combustibile costa 0,98 dollari al litro. Entrambi i Paesi hanno un PIL/abitante pari a circa 6600 dollari l’anno ma il Venezuela, a causa dei bassi costi dei combustibili, possiede fattorie agricole due volte più grandi per estensione e dimensione di quelle della Colombia e il 50% in più di infrastrutture stradali.

In un recente saggio (2007) un economista neozelandese, Kyle Schuant afferma che “ per creare e mantenere una moderna economia industriale è necessario possedere un’accessibilità ai combustibili pari a qualcosa come 1500-10.000 litri l’anno per persona e un’analoga accessibilità alimentare pari a circa 15.000 dollari l’anno per persona.

Nel suo saggio, Schuant esamina il tasso di industrializzazione dei 50 paesi oggi più ricchi ( in base al loro PIL) e rivela che 40 di questi (Stati Uniti, Giappone..etc) possiedono il più elevato tasso di industrializzazione, potendo disporre da un minimo di 10.000 litri a un massimo di 28.000 litri l’anno per persona di combustibili ed un’equivalente accessibilità alimentare pari a 60.000 dollari per persona.

Tali cifre ovviamente indicano “l’accessibilità potenziale” in un anno per ciascuna persona, non che esse consumino effettivamente tale disponibilità. Di questi 40 Paesi, 16 sono esportatori di petrolio e tre sono produttori per il loro totale fabbisogno interno; tuttavia, gli stessi 40 Paesi hanno la più elevata produzione annua di rifiuti per abitante, la più elevata infrastrutturazione del territorio, il più elevato tasso di motorizzazione, il più elevato consumi di suolo agricolo e le più estese dimensioni di fattorie agricole per la produzione alimentare.

Il modello di società industriale e di città-metropoli contemporanei è esattamente quello descritto dall’economista neo-zelandese, il quale è consapevole che tale modello non avrà alcuna possibilità di essere applicato ai circa due terzi della popolazione mondiale che vive in condizioni di sottosviluppo o di lotta per la sopravvivenza. Per questo motivo, Schuant auspica che si faccia strada rapidamente, nelle società e nei governi dei Paesi più industrializzati, l’idea di un’ “economia eco-tecnica”, capace di mantenere un elevato livello di sviluppo, utilizzando un’accessibilità ai combustibili fossili assai inferiore (compresa tra i 1500 e i 5000 litri l’anno per persona) ed un’accessibilità alimentare pari a qualcosa di più di 15000 dollari l’anno per persona.

Schuant afferma che la crisi ecologica globale causata dai cambiamenti climatici a scala globale e locale rende necessaria ed urgente questa “ riconversione ecologica dell’economia”, perché il mondo ha già raggiunto il proprio “ freezing point”. L’ultimo evento che testimonia la rapidità con la quale l’ecosistema globale
manifesta danni irreversibili ed irreparabili, in conseguenza delle modificazioni climatiche a scala globale, è il distacco al Polo Sud di un iceberg di 540 kmq, evento che i ricercatori presenti in Antartide avevano previsto entro il 2020 ma che si è realizzato in questi giorni.

La responsabilità a cui Schuant ci richiama nel suo saggio è verso una riconversione ecologica dell’economia industrializzata e globalizzata per pianificare un’ Economia Ecotecnica ottenuta , “..combinando una fortissima tassazione sulle risorse energetiche non rinnovabili con l’uso e l’applicazione su vasta scala di energie rinnovabili e con lo sviluppo di un’agricoltura fondata su luoghi di produzione “policolturali”per soddisfare i bisogni alimentari, si otterrebbe una liberazione di capitali di investimento verso un’economia eco-tecnica, attraverso la progressiva riduzione dei costi per l’inquinamento, per gli sprechi energetici e la produzione dei rifiuti, per il dissesto idro-geologico, ottenndo anche una sensibile decrescita del consumo di suolo e della sua infrastrutturazione urbana.”

Vi è in quest’approccio dell’economista neozelandese, il cui saggio ha avuto vasta eco, soprattutto presso l’ONU e l’OCSE, una riconnessione con “l’utopia” di Kenneth Boulding, il quale nel 1966, scrisse un saggio sulla “ Nave spaziale Terra”, sostenendo la necessità di smettere di agire come se vivessimo ancora in “ un’economia di frontiera”, con estensioni illimitate di nuovi territori e nuove risorse da conquistare ed utilizzare.
Schuant ha inoltre il merito di dirci che un’Economia Ecotecnica è possibile e che la sua costruzione non comporta affatto una decrescita dell’economia né un declino di civiltà, bensì una diversa qualità dello sviluppo e del benessere individuale, ottenuto attraverso una più elevata applicazione della tecnologia ( per la cui accessibilità è necessario però un più elevato grado di educazione e formazione scientifico-culturale di tutti i cittadini) ed una più elevata attenzione alla riproduzione e al recupero delle risorse naturali locali e della biodiversità globale.



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