[28/03/2008] Comunicati

Disconnettiamoci!

LIVORNO. E alla fine arrivò…l’ansia da disconnessione. Se ne sentiva la mancanza in effetti di un’altra malattia moderna per la quale, aggiungiamo noi, qualcuno sarà già al lavoro per trovare una cura, sottoforma di pillola ovviamente. Niente di sessuale - per quanto Freud avrebbe avuto forse qualcosa da ridire – quanto piuttosto di virtuale, se ci passate l’uso improprio di questo termine. La nuova patologia nasce infatti nel momento in cui, per una ragione o per un’altra, non riusciamo a collegarci alla rete. La notizia è riportata dal Corriere della Sera, che a sua volta l’ha presa dal sito Key4Biz il quale ha pubblicato uno studio del Solutions Research Group.

In buona sostanza questo disturbo «colpisce a tutte le età, senza distinzione di ceto sociale (per quanto chi non ha il pc avrà piuttosto la sindrome da digital divide, ndr), e provoca disorientamento e nervosismo». Alzi la mano chi, tra coloro che come noi lavorano sull’on line, non si sente salire un brivido lungo la schiena. Pare che negli Usa sia colpito il 27 per cento della popolazione. Il motivo principale che fa scattare a livello mentale questa temibile ansia? La sensazione di insicurezza. Sullo stile di quando un genitore non riesce a mettersi in contatto con il figlio perché il telefonino non prende o è spento. Ma soprattutto sono i dipendenti e i dirigenti che temono di perdere – in quel lasso di tempo – informazioni essenziali che poi dovranno recuperare in gran fretta. Nota giustamente l’autore dell’articolo, Giancarlo Radice, che andrebbe rivisto lo stesso concetto di “perdere informazioni importanti”, tanto è vero che spesso le e-mail che ci arrivano neppure le leggiamo, ma il fatto di averle sott’occhio basta a darci un senso di controllo della situazione.

Se non ci fosse da piangere di fronte a questa situazione, ci sarebbe davvero da ridere. Perché allontanandosi dal punto di osservazione e guardando la complessità della nostra società occidentale appare evidente – e anche qui gli studi riempiono scaffali e scaffali di librerie - che lo stress quotidiano grava sulle nostre spalle in larga parte perché non stacchiamo mai. Pc e telefonini hanno praticamente messo in moto un flusso continuo di pressione sugli individui che non riescono più – estremizzando il concetto – neppure a nascondersi. Ed è un po’ difficile pensare alle battaglie sulle 35 ore lavorative degli anni passati e all’ansia di disconnessione dei giorni nostri. Si è fatto come i gamberi? Lavorare meno per lavorare tutti è uno slogan un po’ datato certo, ma qui siamo al suo opposto perché oltretutto non siamo assolutamente in una fase storica di piena occupazione. Forse per questo siamo costretti a stare sempre connessi?

Che fine ha fatto il sano ‘staccare la spina’? Siamo dunque al ‘chi stacca è perduto’? Le macchine che dovevano aiutarci, e in parte lo fanno e lo faranno, ci riportano invece in una condizione di palpabile instabilità. Anche mentale. E ora trovare o cercare di trovare di nuovo la strada per un giusto equilibrio sarà ancora più difficile che in passato. Perché la nave va esattamente nella direzione dell’ansia da sconnessione con buona pace dei teorici della lentezza. Finiremo anche qui, temiamo, per spaccarci la testa contro un muro non facendo mai i conti con le nostre capacità. Che non sono certo illimitate. Al pari delle risorse della terra. Questo però sembra un tema caro solo quando si fa la lista dei buoni propositi (a livello personale, fino a quello dei governi internazionali) e così si pretenderebbe non di rendere più sostenibili ambientalmente e socialmente il nostro modello di vita, ma possibilmente trovare il modo di far durare le giornate almeno 28-30 ore. Così come qualcuno pretenderebbe di avere a disposizione sei o sette pianeti da sfruttare fino all’osso. Ma per andare dove? Disconnettiamoci gente, disconnettiamoci. Almeno ogni tanto, per vedere l’effetto che fa.

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