[27/03/2008] Comunicati

Elezioni 2008, a caccia di economia ecologica nelle liste: Udc

Dal rapporto Ipcc nessuno può più far finta di niente: l´economia o sarà ecologica o rimarrà sepolta dalle sue insostenibili contraddizioni ambientali e sociali. Come mai questo metaobiettivo (che potrebbe essere il vero obiettivo bipartisan) è praticamente ignorato da tutti (o quasi)? Qual è la vostra posizione?
«Ammetto di avere una “visione” condizionata della mia trascorsa esperienza come Presidente del Comitato Interministeriale per la Certificazione ambientale europea Emas ed Ecolabel. Il mio giudizio, quindi, è sintonico con le molte “realtà” – presenti nel nostro paese ed altrove – che dimostrano la piena compatibilità tra corretti investimenti economici e tutela ambientale. Con il passare degli anni e l’esplosione esponenziale dei problemi connessi allo sviluppo, questa “porta” si fa sempre più stretta. Ecco perché occorre decisione e prontezza anche nelle scelte connesse alle responsabilità di Governo. Ecco perché sono preoccupato, anzi molto preoccupato, per la inconsistente vaghezza dei Programmi elettorali (specie quelli delle ipotizzate formazioni maggiori) al riguardo. Tale preoccupazione è destinata ad ampliarsi nel caso di una vittoria elettorale della CDL, una formazione – mi pare – molto impegnata sul versante del “laisser faire”».

Economia ecologica, economia sostenibile, significa governo democratico dei flussi di energia e di materia. Significa più governo collettivo (cioè più politica) e meno "dinamiche autonome" del mercato (cioè economia come sottosistema della politica e non il contrario). E´ d´accordo?
«Bisognerebbe intenderci su cosa significa “Governo Collettivo”. Se si tratta di un richiamo alle responsabilità generale (quindi di tutti) non si può che essere d’accordo; se si tratta di evocare esperienze collettivistiche che hanno fatto il loro tempo il mio dissenso è pieno. Credo, invece, che si dovrebbe partire da un diverso assioma: che non ci sono primogeniture né vocazioni specifiche sul versante della tutela ambientale. Intanto, allora, bisognerebbe trovarci d’accordo sul fatto, in generale, che la prevenzione dei danni è economicamente più vantaggiosa degli interventi riparatori, improvvisati, emergenziali (vedi vicenda del pattume campano). Sono, al riguardo, d’accordo con le indicazioni del rapporto Stern che stima nell’ordine dell’uno per cento del PIL mondiale (un traguardo non proibitivo) il costo dell’impegno che dovrebbe essere messo in campo per prevenire ed evitare impatti dirompenti sulle economie del Mondo causati cambiamenti climatici ed attività antropiche. Naturalmente ci vuole più politica e più politica responsabile sia a livello nazionale che sopranazionale. Non mi pare che in Italia si faccia molto per attrezzarci al riguardo».

Economia ecologica significa ottimizzazione e riduzione dei flussi di energia e di materia. Come mai sulla necessità di intervenire sui flussi di energia quasi tutti sono d´accordo (a parte il come che non è secondario) ma sui flussi di materia c´è il silenzio assoluto (a parte il segmento finale dei rifiuti sul quale tutti fanno riferimento alle direttive europee che prevedono il ciclo integrato con riduzione, recupero di materia, recupero di energia, smaltimento in discarica)?
«I flussi di materia sono un fattore decisivo proprio come i flussi di energia. Entrambi gli aspetti richiedono, e su questo bisogna essere chiari, politiche di lungo periodo e di respiro internazionale, quanto meno Europeo. Con tutte le incertezze del caso, credo che le politiche ambientali di "seconda generazione" stiano andando nella direzione giusta, proprio a partire dall´Europa. I flussi di materia sono infatti ottimizzati e ridotti agendo non più solo sull´offerta (produzione), ma necessariamente sulla domanda. I primi anni di applicazione degli strumenti volontari di etichettatura ecologica, ad esempio, ci dicono proprio questo: le più virtuose fra le imprese soffrono una scarsa incisività della richiesta, nonostante un interesse della grande distribuzione a riguardo. Quindi, in sintesi, far uscire i consumi e le modalità del consumo "ecologici" dalla nicchia, attraverso l´educazione, informazione e incentivazione. Passare, come sta facendo la Commissione Europea, da una Politica Integrata di Prodotto ad una Strategia per la Produzione ed il Consumo Sostenibili. Non più rinviabile, inoltre, un vero e serio GPP italiano. Parallelamente all´azione sulla domanda, decisiva è quella sull´offerta. In Italia, in particolare, dobbiamo sviluppare molte più reti fra imprese e poli produttivi per la creazione di piattaforme e mercati di scambio che riducano palesi inefficienze. I distretti industriali, ad esempio, devono essere sostanzialmente riprogettati verso un vero modello di simbiosi industriale a scala locale. Entrambe queste leve, domanda e offerta, hanno inoltre bisogno di un grande catalizzatore: l´innovazione di processo e di prodotto. In tal senso, in Italia dobbiamo fare un passo deciso, e non più tentennare, verso un deciso ingresso della ricerca nelle PMI e viceversa. Non è possibile che brillanti ricercatori, dottorati, laureati siano ghettizzati in laboratori finanziati a singhiozzo per ottenere risultati non industrializzabili. Questa è una strada decisiva per ottimizzare e ridurre i flussi di materia. La fine del ciclo di vita, ormai nota alle cronache nazionali, in tal modo sarà una naturale conseguenza».

Questo quotidiano si è più volte espresso a favore dell´utilizzo della leva fiscale per orientare l´economia verso la sostenibilità (meno tasse al lavoro più tasse alle produzioni e ai consumi inquinanti): lei è d´accordo?
«Sono del tutto d’accordo. Già nella legislatura 2001-2206, per esempio, ho proposto a più riprese all’allora Ministro Matteoli (senza, per la verità, trovare grande ascolto) l’idea di allargare a tutto il Paese, con una apposita norma da inserire in Finanziaria, quanto deciso in via sperimentale dalla Regione Toscana circa l’abbattimento scalare dell’Irap in favore delle Organizzazioni certificate ISO 14001 o Registrate Emas, un piccolo ma importante riconoscimento – se vogliamo - per le Aziende concretamente impegnate a migliorare le proprie prestazioni ambientali ed aperte al giudizio ed alla valutazione (tramite la loro “dichiarazione ambientale”) degli stakeholders di riferimento. E’ una idea che riproporrò – qualunque esso sia - al Governo prossimo venturo. Nello stesso ordine di idee concordo sulla necessità che le aziende maggiormente inquinanti e o impattanti (in genere quelle condizionate solo dalla ricerca del profitto a prescindere) vengano costantemente monitorate ad all’occorrenza “mazziate” a dovere. Ma sinceramente con l’aria di “veltrusconizzazione” che tira c’è poco da stare allegri e sperare…».

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