[26/03/2008] Urbanistica

Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio

FIRENZE. Siamo dunque ad un ulteriore aggiornamento del Codice. Appena prima della fine della legislatura, il Ministro Rutelli ha saputo onorare l’impegno a suo tempo assunto intorno alla rivisitazione del Codice Urbani. Quali le modifiche più significative?

Innanzi tutto il ruolo delle Soprintendenze. Che si sposta da un modello meramente difensivo (e quindi ex post) ad un modello più progettuale (ex ante). L’art. 135 riformato stabilisce, infatti, che in fase di redazione dei Piani Paesaggistici, le Regioni sono tenute a coinvolgere attivamente il MiBAC (e quindi le Soprintendenze, che del Ministero sono le articolazioni territoriali). Si supera quindi lo schema “piano + vincolo + nulla osta”, e si assume invece un modello (assai più responsabilizzante per tutti) di co/pianificazione tra Stato e Regione in materia paesistica. Per questo il Codice prevede anche l’obbligo di formare delle speciali Commissioni (di cui di diritto fanno parte: il Direttore Generale dei BB.CC, il Soprintendente per i beni architettonici e il paesaggio, il Soprintendente per i Beni archeologici, due dirigenti regionali del settore pianificazione, una terna di soggetti di acclarata esperienza e competenza scientifica nominati da Università e Associazioni Ambientaliste) deputate territorialmente al rilascio della dichiarazione di notevole interesse paesaggistico. Il nuovo Codice stabilisce ancora che entro il 2009 MiBAC e Regioni debbano provvedere ad integrare i vincoli già emanati, corredandoli delle relative discipline d’uso delle aree sottoposte a tutela. Non solo: se le Regioni nel frattempo non fanno quanto di loro competenza, è lo Stato che deve inderogabilmente agire in via sostitutiva.
Assumendo ancora l’input della Convenzione Europea del Paesaggio, il Codice stabilisce una volta per tutte, l’unitarietà dei suoi principi di salvaguardia, sottraendo di fatto alla pianificazione sovraordinata degli Enti Parco le aree protette. Come a dire: lo Stato e le Regioni pianificano e tutelano il paesaggio senza scarti e iniquità. Senza postulare l’esistenza di paesaggi di serie A e paesaggi di serie B.
Nel caso, poi, di subdelega della funzione “autorizzativa”, Regione ed Enti Locali debbono prima dimostrare di esser dotati di uffici la cui affidabilità e competenza tecnico/scientifica in tema di paesaggio sia universalmente riconosciuta. Pena il ritorno alla responsabilità esclusiva del Soprintendente territoriale. In ogni caso, l’autorizzazione paesaggistica rafforza oggi il suo carattere collegiale, in quanto qualora il parere vincolante del Soprintendente non fosse reso nei 45 gg. previsti dal Codice, l’Amministrazione preposta al rilascio dell’autorizzazione ha l’obbligo d’indire una Conferenza dei Servizi in cui partecipi anche la Soprintendenza.
Infine, il nuovo Codice riconosce per la prima volta valenza paesistica a filari ed alberi monumentali e stanzia fondi cospicui e specifici per la demolizione degli ecomostri.

Fin qui l’illustrazione dei fatti. Ora, i quesiti aperti. La prima domanda che tutti si fanno è, rispetto alla vexata quaestio del decentramento dei poteri di salvaguardia: il Codice Rutelli decentra o non decentra? A questa, dovendo rispondere in estrema sintesi, potremmo replicare che sì, decentra, ma con giudizio. E soprattutto vincolando questa traslazione di potestà a rigidi e dirimenti criteri di affidabilità scientifica. Il secondo interrogativo, specie in Toscana, è se con una simile architettura procedurale e normativa si potrebbe ripetere un caso Monticchiello. A domanda non potremmo che rispondere “no”. E cioè che a stretto rigor di legge non potrebbe ripetersi, perché sarebbe altamente improbabile sul merito della querelle, riscontrare l’avallo contemporaneo di Soprintendenza, Regione, Enti Locali e corpi intermedi. Tuttavia, questa evenienza, teorica ed auspicabile al contempo, ci dovrebbe far riflettere seriamente sull’enorme responsabilità che investe il decisore pubblico. E dovrebbe altresì tener desta la nostra attenzione, almeno su tre fronti.
Il primo dei quali è tutto politico e attiene al potenziamento effettivo di tutti i presìdi scientifici preposti alla tutela, alla pianificazione e alla valorizzazione del paesaggio. Dalle Soprintendenze agli Uffici Tecnici Regionali, dai Dipartimenti provinciali alle Commissioni paesaggistiche comunali. Poiché il nuovo Codice responsabilizza molto questi presidi del “sapere tecnico” è esattamente a questo livello che occorre intervenire. Elargendo più risorse (tecniche e finanziarie) e promuovendo di più le risorse umane. Il che significherebbe, finalmente, più concorsi pubblici e più meritocrazia.
Il secondo fronte parzialmente scoperto è quello della leale collaborazione. Occorre che questo istituto volontario di buone pratiche, si sostanzi invece e una volta per tutte in una serie chiara, trasparente e condivisa di diritti e doveri, per i quali l’alea che rimane ascritta alla “politica” sia quella fisiologica e insita in ogni processo decisionale.
Infine, da ultima ma non ultima in ordine d’importanza, vi è l’istanza della partecipazione. Mai come oggi è stata tanto avvertita dalla Società Civile la necessità di rendere permeabili le scelte territoriali, specie quelle che hanno ricadute sui paesaggi, sulle culture e sull’identità stessa della comunità locale. Mai come oggi infatti un protagonismo civico (quasi di massa, potremmo dire, con un’espressione un po’ desueta) si è rivelato tanto capace di passare dalla denuncia alla proposta. Per questo, particolarmente utili e opportuni ci paiono i nuovi strumenti suggeriti dalla recente legge regionale toscana sulla Partecipazione (dibattito pubblico su tutti). Per questo, bene faranno tutte le Istituzioni preposte alla tutela e alla valorizzazione del Paesaggio, d’ora in avanti a coinvolgere sempre più fortemente associazioni, comitati e liberi cittadini nella formazione delle loro scelte pianificatorie.

*direttore Legambiente Toscana

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