[26/03/2008] Parchi

Walt Disney, l’inventore dell’ambientalismo... e del ´68 !!

LIVORNO. Un articolo di Mark Henderson, science editor di The Times, riporta con rilievo la notizia della pubblicazione del libro “The Idea of Nature in Disney Animation” scritto da David Whitley, un professore dell’università di Cambridge, che evidenzia come i cartoni animati di Walt Disney come Bambi, il Libro della jungla e Pocahontas abbiano svolto un ruolo importante nell’educazione ambientale dell’opinione pubblica.
La tesi preoccupante di Whitley, almeno per chi come greenreport da sempre denuncia una disneyzzazione del rapporto uomo-natura, è che i personaggi animati di Biancaneve e del pesce pagliaccio Nemo abbiano costruito invece «la consapevolezza critica del contesto delle problematiche ambientali».

«I cartoons di Disney sono spesso considerati poco più che evasione e spesso sono criticati per il loro blando populismo – scrive Henderson - ma secondo Whitley contengono molti messaggi funzionali ad un miglior rapporto tra persone e natura che si sono dimostrati particolarmente influenti».

Una tesi che consideriamo più che fondata, anche se non ne trarremmo le stesse conclusioni esclusivamente positive del professore di Canbridge, visti anche i risultati ambientali della American Way of Life, che i cartoon di Disney hanno davvero accompagnato passo passo, fino a farsene ottimistico specchio planetario.
Il libro The Idea of Nature in Disney Animation, sostiene infatti che «I simpatici animali hanno sistematicamente incoraggiato generazioni di bambini ad allearsi con la natura e a proteggerla» e Whitley individua addirittura il 1942, anno dell’uscita di Bambi, come la data di nascita dell’ambientalismo, visto che molti futuri attivisti verdi sarebbero stati influenzati dalla storia strappalacrime del giovane cervo nel loro interessamento alle questioni ambientali.

Viene da chiedersi se tra i ragazzini che guardavano abbagliati le avventure del giovane cerbiatto non ci fossero anche i padroni della Union Carbide di Bophal, il capitano della Exxon Valdez, l’armatore dell’Erika e gli imprenditori padani che hanno trasformato due province della Campania in una infinita discarica di rifiuti tossici e nocivi, o i guaglioni che hanno fatto in modo che le simpatiche e buone bufale dagli occhioni dolci si rimpinzassero di diossina.

Il libro si concentra su due periodi della storia della Walt Disney Company’s history, quelli che vanno dal 1937 al 1967, quando Walt Disney era in carica, e quelli tra il 1984 e il 2005, quando a dirigere la multinazionale dell’immaginario era Michael Eisner. Secondo Whitley entrambi i mostri sacri dell’animazione sono riconoscibili «per aver avuto un forte e costante impegno per la natura selvaggia e per l’ambiente», anche se in maniera diversa tra loro.

Walt Disney ha promosso una relazione “folksy and homespun” con la natura, che ha influenzato film come Biancaneve e i sette nani, Cenerentola, Bambi. Una visione pastorale, nella quale la natura diventa un rifugio idilliaco, ma vulnerabile e minacciato da una civiltà cattiva.

La gestione Eisner ha reso la cosmogonia della Disney molto più completa e complessa, suggerendo che la natura e le persone possono coesistere nel rispetto della vita selvatica e dell’ordine naturale. Secondo Whitley «Se si accetta il loro sentimentalismo, diventa possibile vedere come questi film abbiano dato ai giovani un’arena culturale nella quale le questioni ambientali possono essere esplorate e provate. L’arte popolare può spesso plasmare più di quanto pensiamo i nostri sentimenti e le nostre idee su certi temi. Disney potrebbe dirci sull’ambiente e del nostro modo di rapportarsi con esso più di quanto noi tendiamo ad accettare».

Insomma, l’ambientalismo passerebbe dall’antropizzazione della natura, nel trasferimento di sentimenti, rapporti, comportamenti e concezioni morali tipici degli esseri umani alla impassibile e feroce biodiversità. Una visione dell’ambientalismo che certo si attaglia bene a certe fasce emozionali dell’animalismo e dell’ecologismo “cittadino” che idealizza ed umanizza la natura, ma ben lontano da molto ambientalismo scientifico che fa i conti ogni giorno con la complessità degli impatti antropici sul pianeta, sulla questione energetica, delle risorse e dello sviluppo, che non possono sfortunatamente essere ridotti all’amore o meno per gli animaletti del bosco e del mare, divisi comunque con criteri antropici tra buoni e cattivi, o tra carini e schifosi.

Secondo Whitley, «i film di Disney sono stati spesso criticati come inautentici e fatti per assecondare i gusti popolari medi, invece di sviluppare attraverso l’animazione un pensiero più provocatorio. In realtà, questi film hanno insegnato a vari livelli il rispetto per la natura. Alcuni di loro, come Bambi, hanno dato consapevolezza della necessità della conservazione e fornito le basi emozionali per l’attivismo ambientale. Per decenni il films di Disney hanno offerto ai bambini potenti fantasie, permettendo loro di esplorare il modo con cui rapportarsi con il mondo naturale».

Un bisogno emozionale e di bellezza che nessuno mette in dubbio e senza il quale non ci sarebbe l’incanto per il mondo e per la vita, ma al quale non ci si può fermare e tantomeno romanticamente cullare, se si vuole passare dall’ambientalismo contemplativo e “carino”, ma ininfluente, a quello duro, indispensabile e scomodo della lotta al global warming ed all’estinzione di massa delle specie (anche quelle “cattive”) che rischiano di lasciarci come unico ricordo della bellezza caotica del pianeta un armonioso cartoon della Disney, da guardare con i nostri stupiti e affascinati pronipoti nelle nostre energivore case super-climatizzate in mezzo al deserto.

Torna all'archivio