[25/03/2008] Rifiuti

Basf di Roma: Legambiente chiede lo stop dell’autorizzazione ambientale e la delocalizzazione dell’impianto

ROMA. Tornano nell’occhio del ciclone le attività dello stabilimento Basf di Roma, collocato lungo la Via Tiburtina, che tratta metalli preziosi (platino, palladio, rodio, rutenio, ecc.) per la produzione di catalizzatori utilizzati nell´industria chimica, petrolchimica, farmaceutica ed alimentare, già da tempo sotto l’attenzione del circolo Legambiente di Guidonia e dei comitati locali dei cittadini. 4 milioni di marmitte catalitiche per veicoli a motore e dispositivi analoghi per elettrodomestici, mille tonnellate di catalizzatori per l´industria chimica, petrolchimica e farmaceutica,tremila sensori di temperatura: questi sono i principali prodotti che ogni anno escono da un complesso ciclo industriale, svolto in sette reparti produttivi, tra cui un “reparto forni”, che bruciando i catalizzatori esausti, produce 1.690 tonnellate di rifiuto trattato all’anno.

Nella fase delle osservazioni alla procedura Aia avviata dalla provincia di Roma e conclusasi pochi giorni fa Legambiente Lazio chiede lo stop al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (Aia) allo stabilimento Basf (ex Engelhard) di Roma.

Secondo Lorenzo Parlati, presidente di Legambiente Lazio, «Nella sintesi del progetto esistono carenze sostanziali, che precludono la possibilità di valutare significativi aspetti del processo produttivo e l’impatto sull’ambiente dello stesso, carenze che, a nostro avviso, portano alla non sussistenza delle condizioni per rilasciare l’autorizzazione Aia. Dopo il lungo, farraginoso e difficoltoso iter previsto dagli uffici della provincia di Roma, siamo riusciti a prendere visione del materiale relativo all’Aia dove, a nostro avviso, mancano fondamentali informazioni che minano i principi generali per la concessione dell´autorizzazione integrata ambientale. Lo stabilimento Basf Engelhard di Roma va delocalizzato, come prevedeva il protocollo d’intesa firmato due anni fa, gli impatti ambientali delle attività vanno a ricadere in un’area densamente popolata che rende evidentemente incompatibile la convivenza di un impianto del genere con decine di migliaia di cittadini».

Il Cigno verde nelle sue osservazioni evidenzia i problemi legati al contesto territoriale in cui è inserito lo stabilimento: «l’impianto opera dal 1956 in un luogo che ha subito negli ultimi decenni uno sviluppo urbanistico notevole, tanto che lo stabilimento, un tempo unità abbastanza isolata, si è venuto a collocare in un’area ad oggi elevata densità abitativa e commerciale. Sono circa 1.000, in 320 alloggi, i residenti contermini all’impianto nel centro residenziale L’Oasi, dove ci sono anche un asilo nido e due supermercati, mentre nelle immediate prossimità, ad est, si colloca il quartiere di Case Rosse, dove risiedono circa 20.000 abitanti, e allargando il raggio fino di 3 km dall’impianto si trovano gli abitati di La Rustica, a sud ovest, Settecamini e Setteville, a nord e Ponte di Nona a sud est, dove complessivamente risiedono circa 80.000 abitanti e si trova “Roma Est”, uno dei più grandi centri commerciali della Capitale, con oltre 1 milione di visitatori previsti nell’anno».

Cose già note nel maggio del 2006, quando la Engelhard, prima di essere acquisita dalla Basf, aveva sottoscritto un protocollo di intesa con il comune di Roma in cui si afferma di «voler esaminare congiuntamente la praticabilità di un progetto urbanistico (…) che da un lato consenta un’adeguata riqualificazione dell’area (…) dall’altro possa contribuire a sostenere gli oneri connessi alla delocalizzazione dell’attuale stabilimento».

Legambiente lamenta anche che dal progetto presentato non sia possibile evincere l´energia usata o prodotta dall´impianto, così come non si comprende se la tecnica in uso per prevenire o ridurre le emissioni dall´impianto sia la migliore disponibile come prevede la normativa e se sia stata valutata in relazione alle emissioni dell’area, né quali misure di prevenzione e di recupero dei rifiuti prodotti dall´impianto siano attuate, o se siano state valutate, come è obbligatorio, le eventuali principali alternative in relazione all’adeguamento del funzionamento degli impianti alle disposizioni di legge, o le misure per garantire la sicurezza dell’impianto e per evitare rischi di inquinamento alla cessazione dell’attività, ma nemmeno se nella valutazione delle emissioni ambientali siano stati presi in considerazione i valori riferiti alla capacità produttiva potenziale dell’impianto o quali siano le emissioni acustiche e gli effetti sull’ambiente che ne derivano.

Gli ambientalisti sono anche preoccupati per la gestione delle acque: «non si evincono i consumi industriali d’acqua, prelevata da per pozzi ubicati nell’area dello stabilimento, ma soprattutto si liquida come “trascurabile” il contributo al carico inquinante del fiume Aniene pur scaricandovi, dopo trattamento, ogni anno ben 295mila metri cubi di acque, di cui 237.400 metri cubi provenienti dallo scarico a valle dell’impianto di neutralizzazione, 10.000 metri cubi provenienti dallo scarico a valle di un trattamento di clorazione, 8.000 metri cubi provenienti dal troppo pieno e scarico dell’impianto di raffreddamento, e 39.800 metri cubi di acque meteoriche provenienti dal piazzale e dai tetti. Va peraltro detto, che sulla base dei dati contenuti nel Piano di Tutela delle Acque (PTA), recentemente approvato dalla regione Lazio, emerge che l’Aniene proprio nel tratto Lunghezza / Ponte Mammolo / Ponte Salario vede peggiorare la qualità delle acque che va a classificarsi come “scadente” (classe 4) per lo stato di qualità ambientale valutato con l’indice Seca, mentre la situazione risulta essere buona (2) sia nella stazione di Subiaco (località San Francesco) che in quella di Anticoli Corrado (località Fonte). Un fatto che richiederebbe ad una particolare attenzione nei confronti di qualsiasi immissione inquinante».

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