[25/03/2008] Monitor di Enrico Falqui

Magazzini e pozzi della Natura

FIRENZE. Uno dei fenomeni più drammatici che gli scienziati hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale nella Conferenza di Rio de Janeiro (1992), riguarda la rarefazione e scomparsa dell’humus dai terreni naturali e dai suoli coltivabili.
Per capire la gravità di questo tema, pressoché dimenticato da parte della maggior parte delle classi dirigenti economiche e politiche di tutto il mondo, giova ricordare che esso rappresenta, insieme al plancton e all’aria, il supporto nutrizionale di tutti gli organismi vegetali ed animali. Come l’acqua non può nutrire i pesci e i molluschi senza plancton, così i terreni non possono essere fertili senza humus.
L’attività biologica dell’humus (lo strato superficiale di alcune decine di centimetri cha caratterizza tutti i suoli) è organizzata dai batteri, presenti in numero enorme nei terreni, dalle micro-alghe, assai preziose perché mangiatrici di azoto atmosferico, che viene poi trasferito alle proteine e da microscopici funghi, detti eumiceti.
L’humus possiede un’attività biologica assai dinamica, grazie alla quale esso trattiene umidità e sostanze organiche, specialmente nei periodi di siccità, i sali dei principali elementi (azoto,fosforo,zolfo..etc) e anche degli oligo-elementi.

Da circa dieci anni, però, la comunità scientifica internazionale concorda sul fatto che l’inquinamento diffuso nei suoli liberi, la diminuzione delle rotazioni delle colture agricole e l’avanzare dell’urbanizzazione hanno prodotto una sorta di “cortocircuito” di questo sistema dinamico che è l’humus e i batteri humificanti deperiscono, poi degenerano e muoiono, riducendone drasticamente la fertilità.
Tuttavia, la scomparsa dei batteri dall’humus determina anche la riduzione e la scomparsa dei colloidi umici, da cui dipende la capacità di aggregazione delle particelle del terreno e quindi la stabilità complessiva del suolo.

Conseguenza ulteriore di questa “catena di degrado”, è la progressiva erosione dei suoli per effetto del dilavamento delle acque, dei venti e delle condizioni climatiche. Quando, dopo prolungate siccità, subentrano le violente ed anomale precipitazioni che abbiamo imparato a conoscere in tutta Europa, in quest’ultimo decennio, il terreno non possiede più la necessaria protezione erbacea che si sviluppava naturalmente sugli “ humus fertili” di una volta e, come ormai sappiamo, fiumi di fango dilavano a valle trascinati dai corpi idrici o dai suoli erosi in pendio.
Questo spiega il notevole incremento di frane che si è avuto nell’ultimo decennio in tutto l’arco Appenninico italiano, dal Nord al Sud, isole comprese.

Tuttavia, solo recentemente,(2006) si è scoperto da parte di ricercatori dell’Istituto federale per le foreste e il paesaggio (WSL) di Losanna quale sia il meccanismo attraverso il quale i suoli immagazzinano importanti quantitativi di carbonio, sotto forma di CO2.
Come è stato evidenziato nell’ultimo summit internazionale per la ratifica del protocollo di Kyoto, nell’ultimo secolo la concentrazione di CO2 presente in atmosfera che agisce sul clima è aumentata di 3 volte.
Nelle trattative condotte dai vari Stati per ricercare un “ compromesso” sulla riduzione delle immissioni in atmosfera, si è aperto un altro fronte di trattativa tra Governi, attribuendo la possibilità di “fissare” carbonio atmosferico negli ecosistemi terrestri, attraverso sia la proprietà delle foreste di trattenere CO2 come biomassa, sia attraverso la proprietà dei suoli di catturare CO2 dagli alberi attraverso le loro radici e la lettiera sul suolo.
La prima proprietà, tuttavia, è garantita solo se i suoli fertili permettono l’evoluzione naturale delle foreste e se si riduce l’azione di deforestazione a livello mondiale nelle aree strategiche del Pianeta.
La seconda proprietà è garantita solo se i suoli riescono a trasferire verso il terreno il Carbonio assorbito dagli alberi e se esso non viene subito reimmesso nell’atmosfera attraverso la respirazione dei microrganismi del suolo.

Le foreste svizzere sono attualmente considerate dei “serbatoi di carbonio”, in quanto immagazzinano circa 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, i tre quarti dei quali sono tuttavia da sottrarre a causa dell’elevata utilizzazione di legname e degli alberi che muoiono.
Stiamo parlando però di un territorio, quello Svizzero, dove ancora il degrado di humus nei suoli rurali liberi e in quelli coltivati è pressoché inesistente, ma non è così, purtroppo, per la maggior parte dei suoli europei.
I suoli rurali europei, quelli non ancora perturbati dall’avanzare dell’urbanizzazione del territorio, usano una meccanizzazione assai spinta dei loro terreni con l’uso di trattori e macchine agricole specializzate per aumentare l’ossigenazione dei terreni e la mineralizzazione della sostanza organica introdotta; è quasi raddoppiata la superficie agricola europea trattata con pesticidi e fertilizzanti sintetici, mentre si è progressivamente annullata la tecnica della rotazione delle colture.
Tutto ciò ha avuto come conseguenza ( come risulta dagli studi IPCC del 2005) l’innalzamento del contenuto di CO2 nell’atmosfera da parte dei suoli rurali coltivati, per una quota oscillante tra il 6% e il 20% delle emissioni totali.

Eppure, gli alberi, come in un pozzo, sono in grado di pompare grossi quantitativi di carbonio all’interno del terreno passando per la lettiera e per le radici e potrebbero rappresentare un importante strumento di “ immagazzinamento” della CO2 immessa in atmosfera la quale, grazie a un simile processo, viene fissata per un terzo sottoforma di nuovo humus, di cui abbiamo bisogno per evitare l’instabilità dei suoli ed il degrado del paesaggio.
I ricercatori svizzeri del WSL hanno tuttavia scoperto che gli organismi microscopici che vivono nel suolo con la loro respirazione riutilizzano circa il 10-15% del nuovo humus e lo reimmettono in atmosfera sottoforma di CO2. Per permettere agli alberi di comportarsi come una “pompa in un pozzo” e al suolo di svolgere la funzione di “magazzino di CO2” abbiamo dunque bisogno di tre processi sinergici, spinti da una identica intenzione di gestione sostenibile del territorio:

a) ridurre drasticamente qualsiasi politica di deforestazione, soprattutto nelle zone pede-collinari e montane, favorendo il rimboschimento attraverso incentivi economici attribuiti ai proprietari dall’UE, con motivazioni “innovative” di tutela idrogeologica del territorio e conservazione del paesaggio. (sarebbe un investimento positivo la cui cifra è drasticamente inferiore a quanto spendiamo ogni anno in Europa per riparare i danni del dissesto idro-geologico e del degrado del paesaggio).

b) incrementare la progettazione paesaggistica dei “ frammenti e frattali” di ambiente rurale abbandonato o di aree urbanizzate dimesse, attraverso progetti integrati agronomici e silvo-colturali nelle aree di pianura o di fondovalle limitrofe alle aree urbanizzate e alle città .

c) rallentare progressivamente e senza sconti l’immissione di CO2 in atmosfera stabilizzando le emissioni ai livelli concordati nel protocollo di Kyoto, da parte dei Paesi che maggiormente hanno responsabilità nella loro produzione.

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