[14/03/2008] Comunicati

Bologna su Cipolletta: cambiare i punti di riferimento della politica!

LIVORNO. L’ex direttore di Confindustria, attuale direttore di Fs, Ignazio Cipolletta, in un intervento sul Sole24ore di ieri, vede nell’attuale crisi economica e finanziaria, l’opportunità di un rilancio dell’economia reale, lasciandosi alle spalle il predominio della finanza, anche sfruttando la condizione favorevole offerta dall’apertura dei mercati creata dai processi di globalizzazione. E sottolinea che l’opportunità potrebbe anche essere quella di avviare percorsi economici che puntino a ridurre la domanda di materia ed energia, specializzandosi – come paesi industriali-sull´innovazione tecnologica.

Ne abbiano discusso oggi con Gianfranco Bologna (Nella foto), direttore scientifico del Wwf e segretario generale della Fondazione Aurelio Peccei.
«Non so se l’intervento di Cipolletta, che reputo una persona acuta e intelligente, volesse essere una risposta indiretta a Tremonti che ha recentemente sostenuto che la globalizzazione è un processo che è avvenuto senza regole, cosa per altro condivisibile, e che l’economia globale è stata appannaggio pressoché illimitato da parte dei sistemi finanziari. Situazione cui Tremonti pensa si debba rispondere trincerandosi all’interno dei propri confini e che Cipolletta indica come opportunità di tornare ad una economia globale ma impostata verso una minore domanda di materia prima e energia, rimanendo però nel sistema globale. Il problema di fondo è che entrambi non affrontano il tema del limite della crescita. Dobbiamo invece entrare nell’ottica che il concetto della crescita non è più accettabile, perché già adesso stiamo andando oltre i limiti e i dati che si prospettano per il futuro indicano che non basterà fermarsi al disaccoppiamento tra risorse e Pil. Bisogna andare oltre».

Ci può spiegare meglio questo “oltre”?
«Se consideriamo i dati che riguardano i flussi di materia, vediamo che l’estrazione di risorse a livello globale è passata da 40 miliardi di tonnellate negli anni ’80 a 55 miliardi di tonnellate nel 2002 e, si presume, che il flusso mondiale di materia sarà di 80 miliardi di tonnellate nel 2020. A questo dobbiamo affiancare i dati che riguardano l’andamento demografico sul pianeta, che arriverà a una popolazione di 9,1 miliardi di persone nel 2050, rispetto agli attuali 6,7 miliardi, che già rappresentano un problema di sostenibilità. Ma soprattutto dobbiamo considerare che questo incremento di popolazione comporta un notevole aumento di nuovi consumatori, perché avranno un Pil maggiore e quindi maggiori possibilità di acquisto. Il prodotto globale lordo (Pgl) ha sorpassato 65.000 miliardi di $ nel 2006, quando era di 18.600 miliardi nel ’70. E i primi dati del 2007 forniti dal World watch institute indicano livelli pari a 72.000 miliardi di $, che vuol dire un incremento del 5,4%. Cifre da brivido. Risulta difficile prevedere quali saranno i dati del Pgl al 2050, ma se anche ipotizziamo che non potrà rimanere a questi livelli di crescita, l’incremento demografico su cui poggerà richiede la necessità di porsi il problema non solo in termini di efficienza perché con l’aumento del numero delle persone che consumano l’effetto efficienza si abbassa. Per questo a fianco dell’ecoefficienza bisogna mettere l’ecoefficacia».

Vuol dire che è necessario ridurre energia e materia prima utilizzati e anche i prodotti consumati?
«Sì, perché già adesso abbiamo livelli preoccupanti, con paesi che hanno raggiunto una percentuale della popolazione - come la Cina con 300 milioni di persone su 1,3 miliardi e l’India con 130 milioni - che ha livelli di consumo paragonabili a quelli dei paesi dell’Ocse. O se si pensa al paradosso dell’Italia in cui a crescita zero di popolazione corrisponde un continuo aumento di rifiuti prodotti. Allora anche ammettendo che i consumi siano di prodotti realizzati con migliori tecnologie, che non è poi così scontato, vorrei dire a Cipolletta, ma non solo a lui, che non si può mai perdere il punto di riferimento dei limiti della crescita, perché se superi quelli i danni che ne ricavi sono enormi. Gli strumenti ci sono e gli esempi anche, quello che manca è la politica che deve fare in modo che questi percorsi vengano indirizzati e facilitati. I cinesi danno un doppio significato al termine crisi: dramma e opportunità, potremmo applicarli alla situazione attuale, considerando da una parte il fatto che i dati sono quelli di una situazione insostenibile e dall’altra avviare percorsi di sostenibilità».

Nel dibattito attuale questi temi sono poco rappresentati.
«Sì, sarebbe necessario cambiare i punti di riferimento della politica, solo così possono poi diventare cambiamenti culturali. A quel punto si possono pensare politiche economiche che orientino la ricerca e la formazione. Ma il percorso non deve più essere affrontato solo con misure che intervengono alla fine, ma all´origine e bisogna per questo introdurre indicatori diversi, strumenti di contabilizzazione, altrimenti si rischia che anche politiche corrette incidano in maniera marginale».


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