[12/03/2008] Comunicati

Cina, i superministeri e la minima democrazia

LIVORNO. Ambiente e crescita rivoluzionano la struttura del governo cinese, saranno infatti 5 i nuovi “superministeri” previsti dal piano di ristrutturazione istituzionale sottoposto alla più che benevola attenzione dell´Assemblea popolare nazionale (il Parlamento cinese).

Il piano, distribuito ai giornalisti già prima della riunione dell’Apn, individua i nuovi “superministeri”: protezione dell’ambiente; Industria e informazione; Risorse umane e sicurezza sociale; Alloggi e costruzione urbana e rurale; Trasporti.

Per rafforzare l’amministrazione governativa nel settore energetico, sarà anche realizzata una commissione statale di coordinamento ministeriale ad alto livello, che avrà come braccio operativo il nuovo Ufficio nazionale dell’energia che dipenderà direttamente dalla potente Commissione di Stato per lo sviluppo e la riforma.

A parte la Direzione generale, il Consiglio degli Affari di Stato (il governo comunista) sarà così composto da 27 ministeri rispetto ai 28 odierni.

Il segretario generale del Consiglio degli Affari di Sato, Hua Jianmin, ha spiegato le ragioni di questo rimaneggiamento dei ministeri della Cina: «Le funzioni di governo non sono state trasformate completamente e l’intervento microeconomico è ancora più che necessario. L´amministrazione pubblica e I servizi pubblici restano ancora dei punti deboli; La struttura delle istituzioni governative non sono abbastanza razionali. Sussistono ancora dei problemi abbastanza seri come quelli delle responsabilità che si ricoprono, dei poteri e delle responsabilità che non sono adeguati e che hanno un’efficacia poco soddisfacente. I poteri sono per certi aspetti troppo concentrati e mancano di controllo e di esami. Constatiamo ancora fenomeni di abuso di potere per interesse personale e di corruzione».

Più un rimodellamento amministrativo che un cambio politico profondo, anzi, il partito comunista sembra rivendicare il ritorno di un controllo anche sull’economia minuta nella speranza di contrastare la corruzione endemica dei suoi quadri locali ed il degrado ambientale che minaccia il Paese.

La riforma nasce probabilmente dall’allarme lanciato dalla Scuola centrale del partito comunista, che forma i funzionari di maggior rango: «Il sistema politico retrogrado sta danneggiando lo sviluppo economico - si legge in un documento - La crescente coscienza democratica dei cittadini e la grave corruzione tra i dirigenti del partito e i funzionari del governo obbligano a chiedere con urgenza la riforma del sistema politico».

Secondo i ricercatori della scuola del Pcc la Cina deve riformare il suo troppo docile Parlamento che approva tutto ad occhi chiusi, con un meccanismo di elezioni competitive (non necessariamente pluripartitiche) e dando più potere ai parlamentari per l’elaborazione delle leggi e per controllare l’attività del governo. In questo contesto l’affermarsi della stampa indipendente è «una tendenza inevitabile» se si vuole davvero combattere la corruzione.

Li Jinru, consulente del governo e vicepresidente della scuola di formazione del partito comunista spiega all’agenzia Ips che «le trasformazioni che si iniziano ad implementare sono un grande avanzamento sul terreno della riforma politica».

Non la pensa così il politologo Yang Fengchun, dell’università di Pechino: «Se l’intenzione è quella di far in modo che i funzionari di basso livello rendano di più conto ai loro superiori invece di renderlo al pubblico, non stiamo parlando di nessun cambiamento del sistema politico».

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