[06/03/2008] Comunicati

Se l’Africa si ribella a vecchi e nuovi amici

LIVORNO. Mentre la situazione del Kenya, che è soprattutto un conflitto interno per la terra, più che una rivolta contro i brogli elettorali, rimane in una situazione di strisciante guerra civile interetnica, in Camerun, secondo Madeleine Afitè, responsabile dell’Ong “Home for Human Rights” sarebbero ormai più di 100 le vittime dagli scontri tra manifestanti contro il caro vita e la riforma costituzionale e poliziotti e soldati che hanno ricevuto l’ordine di usare il pugno di ferro dal presidente Paul Biya, al potere dal 1982, e che vuole rimanerci fino al 2011. «Sarà comunque difficile arrivare a un bilancio preciso a causa delle intimidazioni perpetrate dalle autorità – dice Afitè - io stessa sono stata minacciata dopo aver denunciato in pubblico il numero delle vittime».

Intanto l’agenzia missionaria AsiaNews dà notizia di «tre feriti gravi (tra cui un cinese) e danni agli edifici e alle attrezzature il bilancio delle proteste di ieri alla fonderia di rame di Chambishi a Kitwe (Zambia), quando circa 500 lavoratori hanno lanciato sassi e assalito i dirigenti cinesi, costringendoli a barricarsi negli uffici. Ci sono stati scontri con la polizia, che ha impedito che i locali fossero incendiati. Dopo le devastazioni i dimostranti hanno lasciato la zona e i sindacati locali hanno ripreso la trattativa con la proprietà cinese per migliorare salari e condizioni di lavoro».

Gli operai africani sono in sciopero perché chiedono ai “padroni” cinesi un aumento del loro misero salario di 80 dollari al mese, ma i cinesi non ne vogliono nemmeno sentir parlare, visto che per la fonderia in costruzione hanno investito 200 milioni di dollari all’interno di un megaprogetto da 900 milioni per lo sfruttamento delle ricchissime miniere di rame di Chambishi, dove il governo dello Zambia assicura speciali esenzioni fiscali.

«I cinesi non rispettano la leggi dello Zambia sul lavoro – dice Teddy Chisala, rappresentate dei lavoratori - Da anni i minatori accusano i cinesi di sfruttamento, per le pessime condizioni di lavoro e i bassi salari. Nel 2005 un’esplosione in una miniera, ritenuta conseguente allo scarso rispetto delle misure di sicurezza, ha provocato almeno 50 morti. Nel luglio 2006 i minatori hanno assalito la miniera quando la proprietà non ha rispettato i concordati aumenti salariali: la polizia ha sparato sui dimostranti. Nel 2007 il presidente Hu Jintao, in visita in Zambia, ha dovuto annullare la prevista tappa presso la miniera, per evitare proteste di massa». Insomma un colonialismo “rosso” e con gli occhi a mandorla che cerca di applicare in Africa brutali metodi di sfruttamento del lavoro già sperimentati dai “capitalisti” per sostenere con le materie prime dello Zambia la crescita della Cina.

Ma Obliageli Ezekwesili, vicepresidente della Banca mondiale per la regione africana, chiede proprio al governo comunista cinese di cooperare per rispondere «alle sfide che impediscono all’Africa ad una crescita sostenibile». Secondo Pechino il principio sottinteso al sostegno della Cina sono i benefici mutuali e la reciprocità, e secondo la Ezekwesili «Quel che è pertanto differente è la scala degli obiettivi di questi investimenti. La cooperazione Cina-Banca mondiale per l’Africa dovrebbe concentrarsi sulle infrastrutture, l’integrazione regionale, la gestione delle risorse naturali, l´agricoltura e la tecnologia. Lavorando più strettamente insieme, potremo sostenere gli sforzi dei nostri partner africani, in quanto leader dl proprio sviluppo».

Chissà se tra i leader africani per lo sviluppo sono compresi anche gli inferociti minatori di Chambishi. Resta il fatto che mentre interessati investitori si affollano accanto al ricco capezzale della povera Africa, e la Cina partecipa con 265 milioni di dollari all’anno al finanziamento di progetti della Banca mondiale, il 54% della popolazione del continente è lontana dal raggiungere gli obiettivi di sopravvivenza dignitosa posti dal Millennio per lo sviluppo dell’Onu per quanto riguarda l’acqua e che il 25% delle famiglie africane non conosce l’elettricità. «Le stime mostrano che l’Africa ha bisogno di un capitale di 22 miliardi di dollari all’anno per sostenere un tasso di crescita del 7% del Pil che permetta di raggiungere gli obiettivi di riduzione della povertà dell’Onu - ha detto a Pechino Obliageli Ezekwesili - La Cina ha fatto una grande promessa all’Africa, non solo in termini di investimenti finanziari nel settore dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, ma anche nella conoscenza tecnica che accompagna lo sviluppo della sua rete infrastrutturale. Suggerisco che il sostegno crescente degli investimenti della Cina in Africa migliori i talenti locali. Tali investimenti dovranno fornire importanti occasioni per le imprese africane che si costituiscano in joint-venture per rimontare la china».

Ma le nascenti rivolte civili e sindacali africane dimostrano che qualcosa si sta rompendo nel meccanismo del vecchio e nuovo colonialismo e che sempre più spesso gli africani non ci stanno a fare da serbatoio di manodopera mal pagata e di risorse naturali a basso prezzo, sia che i “padroni” siano le oligarchie locali filo-occidentali o i nuovi “amici” comunisti cinesi dimentichi dell’internazionalismo proletario.


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