[27/02/2008] Comunicati

Che fare

ROMA. Vorrei continuare a ragionare sull’irrefrenabile corsa al rialzo del prezzo dei combustibili domandandomi se questa questione, oltre a svuotare le tasche della popolazione, abbia influenzato l’intensa discussione su liste e programmi in corso in questi giorni in tutte le forze politiche. Negare che un effetto l’abbia avuto sarebbe sbagliato: il problema dell’energia è al centro di molti confronti e tutti i candidati premier non lesinano proposte e indicazioni su come pensano di affrontare questa drammatica questione. Finalmente la politica non concentra la propria attenzione solo sulle poltrone, ma anche sui problemi del paese. Purtroppo è solo in parte così. Anzi più li si ascolta e più se ne ricava l’impressione che spesso non sappiano di che parlano.

Prendiamo la questione del costo del barile oltre i cento dollari. La sensazione che si ha ascoltando molti politici è che l’alto prezzo del petrolio non dipenda dal fatto che ci sono quasi due miliardi di persone in più a chiedere di consumare quel po’ di petrolio rimasto, né che ci sono i cambiamenti climatici, ma che la causa siano gli ambientalisti del no, che non hanno permesso di costruire i rigassificatori o le centrali dove bruciare il carbone, naturalmente “pulito”, per non parlare del “male di tutti i mali” la sciagurata scelta popolare di vent’anni fa di rinuncia al nucleare.

In questo inizio di campagna elettorale troneggia un nuovo slogan: “noi siamo gli ambientalisti del fare” a distinguersi naturalmente da quelli che dicono no a tutto. Certo rimanendo agli slogan si potrebbe dire che prima di fare è sempre meglio pensare, ma è utile andare oltre lo scambio di battute. Se si guarda al merito di quel “fare” si scopre che gran parte di questa invocazione ad agire è riferita ad infrastrutture: la Tav, il Ponte sullo Stretto, i rigassificatori, gli inceneritori e perché no un po’ di carbone pulito.

Certo ad avere impoverito fino a questo punto la discussione hanno contribuito e non poco anche le favole sui “rifiuti zero”, sul risparmio energetico che rende superfluo produrre elettricità e calore anche da fonti rinnovabili e in particolare dall’eolico che deturpa il paesaggio, per finire a quelli che non vogliono le tramvie o i biocarburanti.

Questi non sono ambientalisti del no, ma solo gente un po’ confusa e scettica sul fatto che il petrolio sta finendo e il clima sta cambiando.

Che c’entrano i rigassificatori con il costo della benzina e del petrolio? Che c’entra il nucleare con l’autonomia energetica? E’ giusto fare arrivare il metano che ci serve (quanto?) oltre che dai tubi anche con le navi, rigassificandolo, e quindi costruiamone qualcuno, ma ciò non incide sul prezzo del gas, che non dipende da come e da dove lo si fa arrivare, ma dal fatto che crescono quelli che lo chiedono e calano invece le quantità a disposizione. Una proposta per chiudere: noi “ambientalisti del fare”, ovunque collocati, vogliamo nella prossima legislatura batterci insieme per raddoppiare il contributo delle rinnovabili al fabbisogno energetico, passando dal modesto 6% attuale al 12% e avvicinando quindi l’obiettivo del 17 che ci chiede la UE? Non è un bel fare? Soprattutto è quello che serve che venga fatto.

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