[21/02/2008] Parchi

Come sta l´ambiente aretino? Ce lo dicono gli uccelli

AREZZO. Difficile quantificare il reale valore della biodiversità in assoluto e in un territorio definito. In ogni caso possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che è sottovalutato. Più nota e definita invece è l’importanza degli indicatori biologici nel monitoraggio ambientale per individuare alterazioni degli ecosistemi. Il paesaggio aretino sta rapidamente cambiando, forse interagiscono anche gli effetti dei mutamenti climatici, e si hanno profonde ripercussioni sulla biodiversità.

Gli uccelli per la conoscenza “storica” ornitologica che si ha in questo territorio, sono uno degli indicatori più affidabili per monitorare l´ambiente in provincia di Arezzo. Gli studi infatti partono dal ‘700 con Tramontani per poi proseguire, tra la fine dell´ 800 e l´inizio del ´900, con Beni, Arrighi Griffoli e Ribustini, per arrivare ai giorni nostri. Ciò consente di comparare e verificare molte variazioni interessanti. Di questo tema si parlerà oggi alle ore 17, all’interno della mostra permanente della fauna selvatica nel palazzo della provincia, dove si terrà l’incontro “Gli uccelli come indicatori dei cambiamenti del paesaggio: variazioni nell´avifauna aretina” organizzato dalla stessa amministrazione.

Sarà Guido Tellini Florenzano, ecologo ed ornitologo, chief-editor della rivista "Avocetta", che si occupa da oltre un trentennio di ornitologia, a parlare del suo lavoro di censimento ed analisi della distribuzione e dell´ecologia degli uccelli nel territorio aretino. Greenreport ha chiesto proprio a Tellini Florenzano di darci qualche anticipazione dello studio.

Quali sono le principali variazioni dell’avifauna nel territorio aretino indotte dal cambiamento del paesaggio?
«In maniera indicativa si potrebbe dividere l’analisi fatta nello studio in due periodi: il primo, dalla seconda metà del 1800 ad oggi, dove abbiamo avuto un aumento del paesaggio agrario, aumento della superficie boscata ma la scomparsa di certi ambienti come le praterie montane. Ciò ha determinato la scomparsa del Nibbio reale ad esempio. Il secondo periodo invece si riferisce agli ultimi 20 anni dove abbiamo sempre l’incremento dei boschi e arbusteti e la scomparsa del paesaggio agrario tradizionale (siamo in presenza di grandi campi senza alberi e siepi) che ha portato ad una forte diminuzione di specie note come l’Allodola (Nella foto). Inoltre abbiamo avuto un’urbanizzazione diffusa la cui conseguenza è stata l’aumento della presenza di alcune specie come il Codirosso e la Tortora dal collare, ma anche la scomparsa di altre specie più sensibili alla presenza antropica».

Ci sono relazioni dirette tra i cambiamenti climatici in atto e la scomparsa o comparsa di alcune specie nei nostri territori?
«I dati che abbiamo sono contrastanti. Ad esempio da noi ora nidifica il Gruccione che è specie termofila e ciò andrebbe in relazione diretta agli aumenti di temperatura dovuta ai cambiamenti del clima. Del resto però specie più tipicamente “continentali” che nidificano in zone di alta collina/montagna come il Tordo bottaccio si ritrovano a nidificare anche a 200 metri sul livello del mare. E questo è in controtendenza rispetto a quanto suddetto».

Rispetto alla biodiversità complessiva dell’avifauna, da quanto emerge dai suoi studi si nota un aumento o una diminuzione?
«Alcune specie non ci sono più ed il bilancio a scala provinciale è negativo. Però altre specie come il Gruccione e la Tortora dal collare sono tornate».


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