[20/02/2008] Comunicati

Dobbiamo continuare a detassare la CO2?

MILANO. Il tema della detassazione dei redditi da lavoro e da impresa sarà centrale in questa campagna elettorale e nella prossima azione di governo. Uno degli strumenti per reperire risorse idonee a sovvenzionare una forte detassazione è lo spostamento del carico fiscale dai redditi all’inquinamento. Ottenendo un doppio dividendo, come diceva Delors: meno tasse sul lavoro e meno inquinamento. Di questo abbiamo cominciato a discutere nel forum sviluppo sostenibile del Partito Democratico.

In Italia c’è lo spazio per farlo. Basta vedere i dati. Tra il 1997 e il 2006 il prelievo fiscale ambientale (energia, auto, rifiuti, acqua) di tutte le amministrazioni pubbliche è diminuito a prezzi costanti di oltre 6 miliardi di euro. Tra il 1995 e il 2005, sempre a prezzi costanti, la tassazione energetica su ogni tonnellata equivalente di petrolio consumata in Italia è diminuita del 24%. Mentre nel 1995 l’Italia era il paese europeo con la più alta tassazione energetica (come rapporto tra introiti fiscali e tep di consumo finale), nel 2005 l’Italia ha una tassazione più leggera non solo della Danimarca, ma anche della Germania o della Gran Bretagna.

O, detto in altri termini, tra il 1995 e il 2005, per ogni tonnellata di CO2 emessa (dalla combustione di fonti energetiche) la tassazione (derivante dall’insieme dei tributi statali e locali sui consumi energetici) è passata da 78 € a 56 €. Ad ogni tonnellata di CO2 si è fatto uno sconto di più di 20 euro. Inconsapevolmente, mentre si varavano programmi di riduzione delle emissioni di gas serra, si è di fatto applicata una poderosa detassazione proprio su queste emissioni inquinanti.

E, contemporaneamente, si è affievolita anche la tassazione sugli autoveicoli che, sempre sull’arco del decennio, è passata in valori costanti da 136 a 121 euro per veicolo circolante. Ricondurre l’entità del prelievo fiscale “ambientale” all’incidenza sul Pil di dieci anni fa, significherebbe generare oggi una entrata aggiuntiva pari a circa 12 miliardi di euro. 12 miliardi che valgono circa il 5,5% delle attuali imposte dirette e che potrebbero essere detratti dalla fiscalità sul lavoro e sulle imprese. Ci sono altre quattro buone ragioni a favore di un forte intervento sulla fiscalità ambientale (energia, mobilità, rifiuti).

La prima è che in un momento di alti costi dei combustibili l’introduzione di una maggiore tassazione (anche concepita in forma flessibile in funzione della variazione dei combustibili) crea quello choc e quella certezza di stabilità di alti costi che incentiva la rapida adozione di tecnologie efficienti e di tecnologie rinnovabili ormai sulla soglia della competitività (dall’eolico al solare termico). La seconda è che una forte tassazione ambientale (accompagnata ad una detassazione di redditi individuali e da impresa) induce una evoluzione del sistema produttivo verso produzioni a minor intensità di energia (e a maggior intensità d lavoro o di conoscenza). Ma è un danno per il paese penalizzare l’industria di produzione di alluminio primario in Italia?

La terza è che la riduzione dei consumi energetici e lo stesso sviluppo delle rinnovabili può essere gestita in maniera più efficiente attraverso meccanismi di mercato che attraverso l’erogazione di incentivi (che comunque si riversano in tariffa). L’inefficienza di questi meccanismi è testimoniato dal Cip6 e dai certificati bianchi: il Cip 6 oggi grava per alcuni miliardi di euro sui costi energetici e avvantaggia in gran parte produttori da combustibili fossili (di scarto, ma fossili); i certificati bianchi sono stati conseguiti in gran parte per interventi (talora inesistenti) sulle lampadine con un ricarico in tariffa di 3-5 volte il costo effettivo dell’intervento.

La quarta è che una revisione della fiscalità ambientale può essere orientata a favorire consumi più efficienti. E’ il caso della tassazione automobilistica dove, sull’esempio della Francia, si potrebbe rivedere la tassazione in maniera tale da alleggerire il carico fiscale sugli automezzi a bassa emissione (ad esempio sotto i 120-140 g/km di CO2) e appesantire seriamente il carico fiscale sugli automezzi ad altre emissioni (ad esempio sopra i 160-180 g/km CO2). Ma potrebbe essere il caso anche della gestione dei rifiuti, applicando un meccanismo di quote e di tributi addizionali gestiti non più a livello regionale (perché è la stessa regione depositaria di programmazione e autorizzazione), ma nazionale, secondo l’ottimo esempio della Gran Bretagna.



*Dell´istituto Ambiente Italia

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