[12/02/2008] Energia

Biocombustibili, ancora una messa in guardia

ROMA. La produzione di biocarburanti potrebbe essere una soluzione peggiore del male, nella lotta ai cambiamenti climatici. Lo affermano due nuovi studi resi pubblici negli Stati Uniti nei giorni scorsi. Entrambi prendono in esame non la pura sostituzione di combustibili fossili con biocombustibili, dove il vantaggio ecologico è netto. L’uso di petrolio, carbone e gas naturale, infatti, libera in atmosfera anidride carbonica congelata da milioni di anni, contribuendo all’incremento della concentrazione di gas a effetto serra. L’uso dei biocombustibili, invece, ricicla l’anidride carbonica già presente in atmosfera.

Tuttavia sostengono due equipe di ricercatori – l’una che fa capo alla Princeton University´s Woodrow Wilson School of Public and International Affaire e l’altra alla University of Minnesota – per coltivare piante come il mais e la canna da zucchero (e ottenere etanolo) o piante come le palme e la soia (e ottenere biodiesel) occorre terreno. E non è detto che i coltivatori utilizzino il terreno già coltivato. È molto probabile, anzi, si pongano alla ricerca di nuove terre da coltivare. Abbattendo foreste. In questo caso il bilancio ecologico diventerebbe estremamente negativo.

La deforestazione, infatti, libera anidride carbonica congelata nelle biomasse. E la libera subito. Occorrerebbero, infatti, 413 anni prima che il risparmio conseguente alla transizione dai combustibili fossili ai biocombustibili pareggiasse i gas serra liberati dalla trasformazione di un ettaro di palude in Indonesia. E occorrerebbero 319 anni prima che la trasformazione di un ettaro di foresta in Amazzonia in un campo di soia per la produzione di biodiesel diventasse vantaggiosa.

Sostenere in maniera acritica la produzione di biocarburanti, sostiene Stephen Polasky, professore di economia applicata della University of Minnesota, a co-autore di uno degli studi significa incentivare la deforestazione e potrebbe favorire una maggiore e non una minore emissione di carbonio in atmosfera.

Agli autori dei due studi hanno già risposto i sostenitori dei biocarburanti: non è né necessario che per ottenere carburanti verdi vengano abbattute le foreste. È molto più logico che per coltivare mais, barbabietole o soia vengano utilizzati campi già coltivati.

La discussione è viva. Gli interessi in gioco sono molti. Ma ancora una volta emerge chiaro che il cambiamento del paradigma energetico fondato sui combustibili fossili è impresa né facile né priva di incognite. E che occorre una lucida guida politica per portarla a termine con successo nei tempi, brevi, che gli scienziati del clima indicano.


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