[11/02/2008] Rifiuti
LIVORNO. Le vinacce della vinificazione sono rifiuti e non scarti vegetali perché ottenuti con processi di lavorazione non meccanici: lo stabilisce una sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia. Il Consiglio annulla quindi una precedente sentenza del Tar e stabilisce che, a tali vinacce, allorché siano incenerite, è applicabile la disciplina in tema di emissioni di cui al Dm 5 febbraio 1998, e non quella più favorevole prevista dal Dpcm 8 marzo 2002 per le biomasse, perché il vinacciolo e la buccetta sono riutilizzate dopo un processo di trasformazione di natura chimico- fisica e sono destinate a operazioni di smaltimento o di recupero.
La Corte ha quindi ritenuto legittimo il provvedimento con il quale l’amministrazione pubblica nell’autorizzare l’emissione dei fumi in atmosfera, aveva imposto i limiti previsti dal Dm 5 febbraio 1998 e non quelli previsti per gli essicatoi.
La Trapas s.r.l – azienda trapanese che aveva fatto ricorso – prima lavava con acqua la vinaccia semifermentata e disalcolava a vapore la vinaccia fermentata e dopo lo stoccaggio la essicava con la separazione del vinacciolo, dei raspi e delle buccette. L’estrazione delle sostanze zuccherine e dei vari composti organici ed inorganici idrosolubili con l’acqua avveniva quindi con un processo non meccanico, ma chimico-fisico.
Le vinacce esauste sono espressamente previste dalla normativa tra i rifiuti non pericolosi e derivati dall’industria agroalimentare. Il decreto del 5 febbraio del 1998 disciplina le norme tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibili o come altro mezzo per produrre energia.
Mentre la normativa che regola le immissioni in atmosfera degli impianti a biomassa richiama in via generale gli scarti vegetali ma solo quelli prodotti dalla lavorazione esclusivamente meccanica e non fa alcun cenno alle vinacce.
Si ripropone dunque il problema di capire quando una sostanza – in questo caso le biomasse combustibili - sia rifiuto oppure no.
Quindi l’individuazione della sostanza come rifiuto rimane al centro della questione: la nozione di rifiuto così come è pone ancora problemi interpretativi e i due criteri uno soggettivo e uno oggettivo non aiutano nella determinazione di ciò che è rifiuto. L’elemento oggettivo fa riferimento ad un elenco di rifiuti fra cui la categoria “Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nella categoria sopra elencata” che in pratica cataloga come potenziale rifiuto qualsiasi sostanza. Di conseguenza per dire che un residuo è rifiuto è necessario basarsi sull’altro elemento; in particolare sul significato da attribuire al termine “disfarsi”.
Una prima indicazione è rinvenibile nell’elenco delle operazioni di smaltimento e di recupero ed in particolare dalla scelta del produttore del rifiuto di avviarlo ad una delle operazioni previste nell’allegato del decreto. Ma ciò non risolve il problema: quando una sostanza non è avviata a nessuna delle operazioni di smaltimento o recupero individuate ovvero quando il residuo è riutilizzato in un procedimento industriale senza essere oggetto di nessuna preventiva operazione di recupero la sostanza e rifiuto o non lo è?