[08/02/2008] Parchi

L´assessore Betti sui parchi: la politica deve applicare la scienza

FIRENZE. No, «gli uomini non amano il concetto di limite», come sostiene Mario Tozzi nel suo intervento di mercoledì 6 febbraio scorso. «Anzi si illudono che non toccherà mai a loro incassare il colpo, ma sempre a qualcun altro, che in ogni caso, sempre umano sarà». E se si prende come vero questo assunto, viene spontaneo da chiedersi in quali aree, su quali porzioni di territorio debbano essere eretti i bastioni che proteggano dalla nostra ingordigia. E naturalmente in questa ottica il ruolo dei parchi e delle aree protette si profila come insostituibile. Ma i parchi sono inseriti (talvolta innestati) in un territorio, un territorio che brulica di attività economiche, o semplicemente di esseri umani che, per definizione, appunto “non amano il concetto di limite”.

Sta quindi agli amministratori percorrere la tormentata strada del compromesso nella gestione delle aree protette. Nell’ottica di stimolare un dibattito (che possa magari sfociare in una nuova e migliore legge toscana sui parchi), abbiamo chiesto all’ assessore regionale alle aree protette, Marco Betti, quale sia la sua posizione a riguardo.

Nel dibattito di questi mesi in Toscana, ritiene che il tema dei parchi e delle aree protette abbia avuto il rilievo adeguato, o avrebbe meritato una maggiore attenzione?
«C’è sempre necessità di maggiore attenzione sul tema. E’ un punto centrale delle politiche di gestione del territorio, e l’attenzione che riceve non è mai sufficiente, secondo me. Anche perchè, voglio chiarirlo da subito, sono d’accordo con quanto afferma Tozzi sull’ossimoro rappresentato dalla nozione di “sviluppo sostenibile”, che è appunto un ossimoro, una contraddizione in termini. La politica delle aree protette è la tutela di un patrimonio (e non mi riferisco “solo” alla biodiversità) attraverso cui passa il futuro: ogni giorno scompaiono specie animali e vegetali, e questo mi sembra un esempio lampante dell’impoverimento del pianeta. La nostra specie è pure destinata a scomparire, e conviene cercare di far sì che ciò avvenga il più tardi possibile: ciò passa anche attraverso la gestione delle aree protette.
Come amministratore, però, il mio compito è di fornire una interpretazione delle necessità scientifiche, altrimenti nessun parco potrebbe essere istituito: ciò significa che la Regione deve essere soggetto delle scelte, e affrontare i conseguenti conflitti».

Da tempo – prima con l’assessore Artusa poi con lei, dopo il suo insediamento – si parla di una nuova legge regionale toscana sui parchi. Ritiene che essa possa servire? E soprattutto, a cosa deve puntare?
«La nuova legge è attualmente ferma negli uffici legali della Regione, per le necessarie valutazioni e approfondimenti. Gli obiettivi sono in sintonia con quanto affermato precedentemente: tutelare un patrimonio attraverso cui passa il futuro della nostra specie e di tutte le altre specie animali e vegetali. Obiettivi di vasta scala e di ampia prospettiva, peraltro resi più difficili dall’ormai cronico problema del poco tempo a disposizione per agire. Comunque, anche in assenza di una nuova legge, continua l’implementazione del sistema dei parchi toscani: il prossimo passo è la creazione di una nuova area protetta (il padule di Bientina), dove paesaggio, cultura, archeologia, vadano ad arricchire gli aspetti ambientali».

Come giudica l’impegno e la presenza dei parchi e delle aree protette toscane, specialmente in riferimento alle complesse vicende ambientali nella nostra regione ma anche al territorio nazionale?
«I tre parchi nazionali proseguono nel solco dell’impegno che Stato e Regione hanno assunto a tutela del patrimonio ambientale. Così come le altre aree protette, necessitano del nostro apporto e appoggio politico, per crescere. Voglio però dare il mio contributo riguardo alla questione Giannutri, che ha acquisito una forte valenza simbolica: da una parte comprendo le esigenze economiche della popolazione, dall’altra le necessità di protezione, che sono ovviamente indicate dallo scienziato, e non certo dal politico. Ma la scienza da chi deve essere valutata e “applicata”, se non dalla politica? Si pensi al noto romanzo “I viaggi di Gulliver”: durante le sue peregrinazioni, il personaggio creato da J. Swift s’imbatte nell’isola di Laputa, un isola che resta sospesa nell’aria grazie a potenti magneti. I suoi abitanti sono tutti scienziati, filosofi, matematici: ma su Laputa ogni filosofo e ogni scienziato pensa solo alla sua scienza e alla sua filosofia, senza minimamente occuparsi dei problemi quotidiani. Il rischio, nella gestione delle aree protette, è di fare lo stesso errore».

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