[05/02/2008] Comunicati

Tre grandi banche Usa bocciano il carbone

LIVORNO. In attesa dell’esito del voto del Supermartedì, e soprattutto in attesa di nuove e più rigide norme ambientali che saranno stabilite dal prossimo governo Usa (di qualsiasi colore esso sia), le grandi banche d’investimento hanno annunciato propri standard ambientali che imporranno alle utilities Usa in cerca di finanziamenti.

Citigroup, Jp Morgan, e Morgan Stanley di fatto hanno già bocciato il ricorso al carbone, combustibile che nonostante le ultime innovazioni tecnologiche, pulito non è affatto, così come appaiono ancora molto lontane dall’essere mature le tecnologie sperimentali di cattura della Co2 nel sottosuolo. E del resto il carbone è sempre meno conveniente anche dal punto di vista economico, e questo non può che essere letto in modo positivo dal punto di vista ambientale, perché riduce il gap economico tra il carbone (le cui scorte non sono infinite, e si vede) e le fonti di energia rinnovabili.

A far raggiungere livelli record di una tonnellata di carbone termico (140 dollari) sono almeno 4 fattori legati in un modo o in un altro alla sua insostenibilità ambientale. Le emissioni prodotte dalle centrali a carbone sparse in tutto il pianeta contribuiscono infatti al surriscaldamento globale e al diffondersi di fenomeni estremi difficilmente prevedibili nel loro dettaglio ma prevedibilissimi dal punto di vista delle probabilità generali: dopo anni di siccità devastante alcune zone dell’Australia la cui economia è legata all’estrazione e lavorazione del carbone sono state colpite da inondazioni (1) che ne hanno rallentato temporaneamente l’attività.
Contemporaneamente è stato bloccato (ufficialmente solo per un paio di mesi) l’export di carbone dalla Cina, dove al di là dell’emergenza neve (2) che ha messo in ginocchio i trasporti, è stato deciso di utilizzare il carbone destinato all’export per alimentare le centrali elettriche del Paese, sempre più sotto pressione per rispondere alla domanda di energia della tigre asiatica (3), perennemente in crescita.

La stessa cosa avviene in Sudafrica (4): le esportazioni di carbone sono state rallentate per risolvere la scarsità di energia prodotta nel Paese, dove a causa della crescita continua dei consumi, si sono verificati numerosi black out, che a cascata sono andati a rallentare anche le attività minerarie, comprese quelle legate all’estrazione del carbone. Situazioni imprevedibili come queste si ripeteranno con frequenza sempre maggiore, hanno ammonito i 2500 scienziati da cui è scaturito il rapporto Ipcc sui mutamenti climatici, con conseguenze economiche molto serie per i Paesi colpiti, a meno di investire una piccola parte del Pil mondiale per riorientare l’economia verso sistemi produttivi più sostenibili. Spetterebbe ai governi farlo, e magari a una governance mondiale che indirizzi l’economia. In questo caso a giocare d’anticipo è addirittura il mondo della finanza, con le tre più importanti banche d’investimento americane che hanno stabilito paletti ambientali che faranno loro guadagnare meno oggi, ma in compenso gli consentiranno di spendere molto meno domani.



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