[05/02/2008] Energia

Biocombustibili e microalghe: realtà o chimera?

LIVORNO. “Biocombustili e microalghe: realtà o chimera?”. E’ il titolo del workshop che si terrà venerdì 8 febbraio a Verona Fiere e anche la domanda che abbiamo fatto subito ad uno dei relatori dell’evento, David Chiaramonti (Crear-Università di Firenze).

«Ci sono in questo campo affermazioni un po’ sperticate e promesse di produzione di biocombustibile dalle alghe che francamente non stanno né in cielo né in terra. Questo non significa però che non si tratti di una cosa interessante, perché i dati reali dicono che una palma da olio coltivata produce 4 tonnellate di biocarburante per ettaro, la colza 0.8 tonnellate per ettaro, mentre dalle alghe 10 tonnellate per ettaro. Dunque è molto interessante anche perché il passaggio da biomasse oleaginose e zuccherine a quelle lignocellulosiche, come le alghe appunto, appare essere un elemento determinante anche ai fini della sostenibilità ambientale del biocarburante prodotto. Il problema però è un altro».

Quale?
«Che il settore non è ancora maturo. In particolare è indietro la parte impiantistica e ingegneristica. Un conto infatti è l’uso delle alghe in settori quali quello farmaceutico o alimentare, dove gli studi e la ricerca sono avanzati; un conto è quello della combustione delle alghe, settore questo ancora agli albori. Senza una maturazione industriale i costi sono così alti da rendere questa operazione insostenibile prima ancora che cominci. In Italia però il professor Mario Tredici dell’Università di Firenze e il suo dipartimento hanno in questo campo un’esperienza di cinquant’anni. E’ lui l’esperto del workshop ed è da lui che nasce l’idea dell’evento. L’interesse intorno all’uso delle alghe per produrre biocarburanti è infatti molto forte, così come la confusione e dunque cercheremo con questo evento di dare un contributo per chiarire i punti più controversi in modo scientifico. Non solo, coglieremo anche l’occasione per far incontrare il mondo della ricerca con quello della bioindustria. Perché riteniamo che questa strada valga la pena di essere seguita. All’evento parteciperà anche l’Enea, che sta da tempo facendo ricerca in questo campo».

Diceva prima del possibile passaggio da biomasse oleaginose a quelle lignocellulosiche, come le alghe appunto, quale strada percorribile ai fini di una maggiore sostenibilità ambientale dei biocarburanti, introducendo così il tema più controverso legato proprio dell’uso delle biomasse: evitare che per produrle in Europa si disboschi la foresta amazzonica o quella pluviale. E che quindi il bilancio ambientale sia negativo. In proposito la Finanziaria 2008 propone la filiera corta - ovvero massimo 75 chilometri - come criterio per avere i finanziamenti per costruire una centrale a biomasse. Raggio entro il quale devono arrivare appunto le materie prime e misura che anche il Pier toscano (anche se ancora in bozza) ha recepito. Le sembra che questo basti per rendere le centrali a biomasse e i biocarburanti sostenibili ambientalmente?
«E’ un argomento molto complesso degno di un dibattito ampio e difficilmente esauribile in poche battute. Comunque da una parte si spinge verso la filiera corta ed è giusto e comprensibile in quanto porta benefici al territorio. Dall’altra invece si spinge nel senso opposto ponendo sul tavolo due vincoli oggettivi della filiera corta: il poco territorio a disposizione e i relativi costi di produzioni molto più alti in Italia rispetto all’importazione dalle zone tropicali. Altro dato oggettivo è che gli obiettivi europei per l’Italia riguardo alla produzione da energie alternative e produzione di biocarburanti non possono essere raggiunti se si utilizzeranno solo le filiere corte. Non c’è abbastanza territorio. La mia opinione dunque è che è giusto stimolare la filiera nazionale, ma anche bilanciare perché quei quantitativi da biomasse altrimenti non li avremmo mai».

Cosa significa bilanciare?
«E’ quanto ha detto recentemente anche la Commissione Ue. Ovvero sfruttamento della filiera nazionale, ma bilanciata con l’importazione dall’estero. Intendiamoci, è giusto che non si importi materia prima dai paesi che per produrla tagliano la foresta amazzonica o pluviale, ma per ovviare a questo basterebbe certificare la materia prima stessa. La verifica della loro sostenibilità ambientale e sociale. Dire invece no all’olio di palma a prescindere, secondo me, è sbagliato».

Nel frattempo progetti di centrali a biomasse sono passati senza alcun tipo di valutazione ambientale approfittando dell’assenza di una legge, anche a Piombino.
«E’ sicuro che questo settore sia un business, ma per un motivo molto semplice: le centrali a biomassa producono più energia rispetto alle altre fonti alternative. Sono tutti certificati verdi potenziali e quindi il mercato si adegua. Il punto è che negli ultimi mesi il prezzo delle materie prime si è alzato moltissimo. Da 300-400 euro a tonnellata ora siamo a 800 e dunque quasi fuori dalla sostenibilità economica. Questo porterà ad una scrematura di tanti progetti, anche di quelli già avanzati. Ritengo quindi che per far proseguire la crescita delle biomasse e renderla più sostenibile ambientalmente serva controllare il prezzo delle materie prime, non lasciandolo quindi al mercato, e come detto introdurre la certificazione di come e dove vengono prodotte. Nel frattempo la ricerca di combustibili di seconda generazione avanzerà».

Tornando alle alghe, quindi, che tempi avrà questa produzione prima che possa essere sfruttata pienamente ai fini dei biocarburanti?
«Circa 5 anni»



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