[01/02/2008] Comunicati

Realacci: «Quello che deve crescere è la qualità»

LIVORNO. Nella bozza del manifesto dei valori del Partito democratico non compare mai la parola crescita. A notarlo, preoccupatissimo, è il senatore Antonio Polito, giornalista ex Unità ed ex direttore del Riformista, in un suo intervento pubblicato mercoledì scorso sul Sole 24 Ore.

«Abbiamo di fronte due diverse idee di affrontare la crisi dell’Europa – sostiene Polito – da un lato la “liberazione della crescita valore a cui sono dedicate le pagine più appassionate del rapporto elaborato dalla commissione francese presieduta dall’economista Jacques Attali; dall’altro la liberazione dell’uomo dall’ossessione della crescita, cui sono dedicate le pagine più pensose della bozza Reichlin del manifesto del Pd».

Una stroncatura in piena regola, che passando attraverso un’invocazione liberista («il mercato va sì regolato ma è il luogo dove si crea ricchezza e benessere e che quindi è autolesionistico ostracizzare») giunge alla conclusione finale: «Mi domando se è con questo manifesto di valori che il Pd possa andare alle elezioni con l’ambizione di presentarsi come il “nuovo” e il “moderno”».

L’intervento di Polito è emblematico della deriva ideologica che ingabbia ancora l´idea di progresso, ovvero il dogma della crescita a prescindere: un comune denominatore di destra e sinistra dove l´unico terreno di competizione rimasto – dicevamo tempo fa commentando proprio le tesi della commissione Attali - si limita a chi lo fa di più (nemmeno meglio).

«Questo dibattito sulla crescita è troppo viziato da posizioni vecchie ed ideologiche – spiega Ermete Realacci (Nella foto), ambientalista storico e membro dell’esecutivo nazionale del Partito democratico.
Da una parte c’è chi vede la crescita come un dogma assoluto e unicamente legato alla quantità e alla produttività. L’altra posizione ideologica è quella presente in alcune aree ambientaliste secondo cui la crescita sia sempre male. Anche questa visione è sbagliata, la crescita è male quando è consumo e spreco di materie, di energia, quando insomma è spreco di risorse…

La modernità invece sta nel capire quale tipo di economia migliora competitività, perché ci può essere anche una crescita del Pil che è frutto di una diminuzione di consumi di territorio per esempio».

A quale tipo di crescita si riferisce quindi?
«Ci sono tanti tipi di crescita, la strada giusta è quella che va in direzione della qualità, che significa riconvertire ecologicamente l’economia. L’Italia è forte se scommette su competitività che è qualità. Una delle più straordinarie riconversioni ecologiche dell’economia c’è stata nella produzione di vino. Oggi ne produciamo il 40% in meno rispetto a quella che era la produzione della metà degli anni 80, eppure il fatturato è 4 volte di più. Siamo passati da quantità e basso prezzo a qualità legata al territorio, e un vero e proprio cambio di paradigma. Questo dibattito sulla crescita senza queste considerazioni lo trovo veramente degno dell’800: spero che Polito quando parla di crescita non abbia in mente le ciminiere che fumano».

La ricerca della qualità non rischia di alimentare in qualche modo la diseguaglianza sociale? In fondo costando di più non tutti possono permettersi il vino di qualità…
«E’ un argomento fondato, ma ci può anche essere una crescita che non diminuisce per nulla le disuguaglianze. Anche uno sviluppo basato sulla qualità infatti richiede politiche concrete ed efficaci per un’equa ripartizione sociale dei vantaggi».

Servono quindi politiche in grado di riorientare l’economia verso uno sviluppo più sostenibile. Non le sembra che proprio questo sia uno degli obiettivi che l’attuale sinistra italiana non è riuscita a cogliere?
«In effetti sempre rifacendosi all’esempio del vino, quella riconversione verso la qualità non è stata governata da politiche, l’hanno fatte le imprese. Diciamo che la politica dovrebbe riuscire ad adottare decisioni che aiutino scelte di questo tipo individuate dalle imprese. In parte nell’ultima legislatura si è fatto molto in questa direzione: nella finanziaria di quest’anno per esempio è stato finalmente introdotto, grazie soprattutto a Ferrante e Ronchi, un sistema di incentivi per rinnovabili che ritengo senza dubbio uno dei migliori d’Europa. Con la mia commissione invece abbiamo lavorato molto sugli incentivi per la riqualificazione edilizia e per l’utilizzo delle rinnovabili. Poi tutta una serie di scelte solo apparentemente piccole ma interessanti proprio dal punto di vista della capacità di orientare l’economia: la messa al bando delle lampadine incandescenti dal 2011 per esempio, oppure quella dei frigoriferi non di classe A dal 2010».



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