[31/01/2008] Consumo

Lo squisito abalone e il rischio del divieto assoluto di pesca

LIVORNO. Dal primo febbraio in Sudafrica scatterà il divieto di pesca degli abaloni, quelle che noi chiamiamo orecchie di mare, considerati una squisitezza ed un potente afrodisiaco nel sud-est asiatico, dove vengono importati in gran quantità, e per questo ormai ridotti alla prossima estinzione. Il divieto di raccolta e pesca degli abaloni era stato annunciato nel novembre 2008 dal ministro dell’ambiente e del turismo sudafricano Martinis van Chalky, che nello spiegare la misura assolutamente necessaria disse: «Sfortunatamente, siamo al punto che la pesca dell’abalone selvatico non si può più giustificare, dato che la sua esistenza si è ridotta ad un livello che la risorsa è minacciata di estinzione».

Negli anni ’60 del secolo scorso in Sudafrica si pescavano 2.800 tonnellate all’anno di abaloni, nel 1970 vennero introdotte le quote fino ad un massimo di 700 tonnellate all’anno, che vennero ulteriormente ridotte nel 1995, fino ad arrivare nel 2006 e nel 2007 a 125 tonnellate. Ma questo non ha impedito la raccolta illegale di queste grandi orecchie di mare che sul mercato cinese, durante le festività del nuovo anno, raggiungono i mille dollari al chilogrammo.

Per questo nel 2007 il governo di Tshwane (come si chiama oggi Pretoria) ha chiesto al Cites di introdurre questi molluschi nell’Appendice III delle specie commerciali minacciate, richiedendo l’embargo di vendita internazionale per gli abaloni sudafricani pescati illegalmente e non certificati. Il Sudafrica ha anche iniziato un pattugliamento delle coste per impedire la raccolta di frodo dei molluschi, un’attività che impegna 170 uomini ed una ventina di imbarcazioni, elicotteri ed aerei da ricognizione, con un costo per le casse pubbliche di 3,2 milioni di dollari all’anno.

Ma neanche questo è riuscito a fermare i bracconieri e lo stock di abaloni del Sudafrica è calato drasticamente. Sfogliando i registri di confisca Cites si scopre che gli abaloni pescati illegalmente sono moltiplicati in maniera esponenziale tra il 1996 e il 2006. Nel 2007, è stato confiscato almeno un milione di orecchie di mare sudafricane, per un valore di circa 20 milioni di dollari, probabilmente solo una piccola parte del traffico abusivo.

Ma le perplessità sul divieto assoluto di pesca non convince tutti, nemmeno esperti ed ambientalisti. Secondo quanto ha detto al The Cape Times una ricercatrice dell’unità di valutazione ambientale dell’università di Città del Capo, María Hauck, la sospensione della pesca degli abaloni potrebbe provocare addirittura un aumento della loro raccolta illegale.

«Il governo – spiega la Hauck – ha alienato i diritti legali dei possessori di licenze, mentre avrebbe dovuto allearsi con loro per gestire le risorse».Il problema è infatti cosa faranno (e come reagiranno) le 800 persone che lavorano legalmente nel settore e che fanno un fatturato annuo di 21 milioni di dollari. Con la ricercatrice concorda addirittura Markus Bürgener, di Traffic, un network mondiale sul controllo del commercio di risorse naturali al quale aderiscono anche Cites e Wwf. «Se non si danno a questi pescatori altre opzioni percorribili per potersi sostenere – spiega Bürgener - il pericolo è che qualcuno tra loro ricorra alla raccolta illegale. Questo è il lavoro che conoscono meglio».

Il governo sudafricano pensa di inserire i pescatori di abaloni nell’industria turistica, in particolare nelle attività di whale-watching, ma anche di realizzare, con un investimento di 15 milioni di dollari, 6 impianti di acquacoltura per allevare abaloni. Ma l’allevamento in mare degli abaloni richiede 5 o 6 anni per raggiungere la taglia commerciale (7 o 800 grammi) e anche se impianti del genere esistono già in Sudafrica ed esportano oltre 180 tonnellate di prodotto all’anno, questa pratica presenta molti rischi, ha alti costi di partenza, richiede personale specializzato. Inoltre, è energivora ed ha bisogno di essere supportata da generatori autonomi, perché in caso di interruzione di corrente le orecchie di mare iniziano a morire già dopo la prima mezz’ora. Ma l’acquacoltura pare l’unica soluzione reale per allentare la pressione sugli abaloni selvatici e salvarli dall’estinzione, impiegando le abilità dei pescatori per distoglierli dalla cattura illegale di questi molluschi.



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