[29/01/2008] Rifiuti

Il viaggio della spazzatura elettronica, dall’America ad Alaba Market

LIVORNO. La Basel Action Network (BAN), una Ong con base a Seattle, negli Usa, e la Electronics TakeBack Coalition (Etbc) mettono in guardia i consumatori americani ed europei sul fatto che la maggior parte delle apparecchiature elettroniche ritirate delle imprese produttrici per avviarle al riciclaggio, finiscono in realtà nei Paesi in via di sviluppo.

«Possiamo pensare di star facendo la cosa giusta nel dare la nostra vecchia elettronica ad un “riciclatore” o ad una raccolta gratuita - spiega Sarah Westervelt, direttrice del programma Ban’s e-Stewardship – Ma la maggior parte delle imprese che la chiedono per fare il riciclaggio, sono poco più di distributori internazionali di rifiuti. Prendono il vostro vecchio apparecchio gratuitamente o con una bassa tassa per il riciclaggio, e poi semplicemente li caricano e spediscono via mare su una nave che per la Cina, l’India o la Nigeria». Secondo Ban, una volta all’estero i vecchi computer o le Tv diventano parte di una «cyber-age horror story».

In Cina donne e bambini respirano vapori tossici delle saldature, letteralmente cucinando i circuiti stampati, o le dissine prodotte dai fili bruciati o i vapori degli acidi usati per estrarre metalli preziosi i cui reflui vengono scaricati direttamente nei fiumi. Ma il nuovo paradiso dell’e-waste è la Nigeria dove ormai viene esportata gran parte della spazzatura tecnologica non più riparabile e che viene semplicemente scaricata e bruciata accanto a centri abitato o fatta scomparire nelle paludi. Il problema dell’esportazione indiscriminata dei rifiuti elettronici si presenta particolarmente grave negli Usa, dove il governo si rifiuta di ratificare la convenzione di Basilea e il Basel Ban Amendment, accordi internazionali che vietano il commercio di rifiuti pericolosi verso i Paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti non sembrano molto interessati a controllare le loro esportazioni di e-waste e se siano davvero destinati al riciclaggio e al riutilizzo.

«In quanto tali – spiegano all’Etbc - le esportazioni di e-rifiuti sono in violazione del diritto internazionale, ma non della legge degli Stati Uniti e così i “riciclatori” possono dire di rispettare tutte le leggi ambientali e di essere "EPA approved"»., cioè di avere il nulla-osta dell’Environmental protection agency. Per aiutare i consumatori Usa a distinguere questi esportatori, Ban e Etbc hanno realizzato la e-Stewards Initiative, un programma che individua i riciclatori più responsabili del nord America che hanno deciso di aderire a criteri rigorosi che prevedono che apparecchiature elettroniche o loro parti pericolose non vengano esportati verso i Paesi in via di sviluppo o trattati da prigionieri o attraverso la schiavitù e il lavoro coatto e che nessuno di essi finisca in discariche o primitivi “inceneritori”. I consumatori vengono invitati a servirsi solo dei riciclatori responsabili ed eventualmente a portare il loro apparecchi dismessi solo ai free e-waste collection events (iniziative di ritiro gratuito dei rifiuti elettronici) che aderiscono all’e-Stewards.

Intanto però a Lagos, la capitale economica della Nigeria, arrivano ogni mese 400 mila monitors di computer e 175 mila vecchi televisori, alcuni vanno a rimpinguare il ricco mercato di seconda mano della città, la maggior parte finisce nelle enorme discariche illegali dei dintorni, come l’inferno di Alaba Market (nella foto), un quartiere di Lagos sommerso dai rifiuti tecnologici occidentali a cielo aperto che vengono bruciati tra le case, montagne nelle quali scava e gioca una moltitudine di bambini . Per le autorità cittadine «i rifiuti elettronici sono un grande problema ed un’enorme sfida», visto che non esistono impianti per riciclare l’e-waste che giacciono abbandonati indiscriminatamente praticamente in tutta Lagos.

La Ong Nigerian environmental society dice che questo «è molto preoccupante perché i componenti di questi prodotti elettronico sono molto pericolosi. I residenti delle zone dove si bruciano stanno soffrendo di malattie polmonari perché inalano molte sostanze nociva. Abbiamo informato la gente del pericolo di bruciare questi rifiuti. Crediamo che la situazione debba cambiare. Abbiamo parlato con le imprese alla ricerca di aiuti perché approntino i metodi di gestione degli scarti di questi residui». Ma i materiali plastici stanno creando a Lagos un’altra inaspettata conseguenza: tappano letteralmente fossi e fogne a cielo aperto e alle prime piogge provocano vere e proprie inondazioni praticamente in ogni zona della megalopoli di 20 milioni di abitanti.

Il tutto si aggiunge alla gestione della spazzatura prodotta ogni giorno a Lagos: 9.000 tonnellate. Spazzatura “africana” che secondo gli esperti sarebbe riciclabile all’80% e che contiene il 60% di rifiuti organici che invece di essere dispersi per strade e immondezzai potrebbero servire a fertilizzare orti e giardini. Le prime iniziative in questo senso hanno già creato 350 posti di lavoro nel riciclo dell’organico e della plastica e 3.000 nell’indotto.



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