[28/01/2008] Consumo

Confagricoltura fa outing sugli Ogm: ma non convince

LIVORNO. Che Confagricoltura avesse una posizione assai più aperta sugli Ogm, rispetto alle altre associazioni del settore italiane, anche greenreport ne aveva dato notizia già nel 2006. Ora però il presidente Federico Vecchioni ha rotto definitivamente gli indugi e, stando a quanto riporta Italia Oggi di sabato, ha spiegato così la nuova posizione assunta: «Chiediamo che sia applicato il principio di precauzione e di poter utilizzare le coltivazioni il cui rischio sia stato considerato non grave per i consumatori dalle autorità scientifiche». E poi ha aggiunto: «Non possiamo lasciare i nostri imprenditori in competizione con chi pare più bravo di noi ma che in realtà ha solo più strumenti di noi».

Dunque stavolta l’argomento pro-Ogm sembra essere quello della ‘competitività’ tra gli agricoltori italiani e quelli esteri. In particolare si parla del mais la cui domanda, secondo i dati Nomisma, sarebbe aumentata del 9.3% in 5 anni abbattendo così la tradizionale autosufficienza del comparto. Si dice inoltre che questo trend nel 2013 genererà una situazione che vedrà l’Italia costretta ad un aumento del 233% di import rispetto alla media 2001-2006, pari a 3.4 milioni di tonnellate in più. Ma da qui al 2013 – conclude così il ragionamento - la percentuale di mais ogm sul totale esportato (quindi non tutto quello commercializzato, ndr) nel mondo potrebbe sfiorare l’86% contro il 48.7% attuale. Insomma, per farla breve secondo questo punto di vista il mais ogm ormai lo stanno usando tutti e allora siccome anche da noi la domanda aumenterà saremmo costretti a importare quello ogm perché non ce ne sarà di altro tipo e dunque è meglio che ce lo coltiviamo da soli…

Francamente ci pare una posizione piuttosto determinista e affatto accettabile. Perché se il problema è quello della competitività, non si è sempre sostenuto che è la qualità quella che vince? Una filiera ogm free rispettosa dell’ambiente se anche non vogliamo ritenerla (ma noi sosteniamo il contrario) assai più sana di quella ogm e anche socialmente più sostenibile, nessuno può negare che sia comunque un bel distinguo nel panorama mondiale. L’alternativa sarebbe mettersi in concorrenza nella produzione con paesi che hanno sconfinate possibilità di terreni da destinare all’agricoltura rispetto a noi? Oppure siamo in grado si sostenere che comprare i brevetti dei semi ogm dalle multinazionali sarebbe una scelta più sostenibile ambientalmente e socialmente? C’è davvero bisogno, come dice Vecchioni, di aumentare la produzione di mais in Italia? Detto che la ricerca su i prodotti geneticamente modificati può essere anche accettata altra cosa è la loro sperimentazione in campo aperto e comunque non ci pare ci siano ragioni attualmente sufficienti per riconvertire la nostra agricoltura verso quella ogm. Semmai verso quella biologica, che non vuol dire non fare ricerca e che per questa non serva tecnologia.

Poi c’è tutta l’altra partita di cui abbiamo già parlato e che per sommi capi possiamo riassumere così: una filiera ogm free significa che non si usano ogm neppure per la zootecnia, ovvero per darli da mangiare agli animali. Cosa che invece non è vietata in Italia e che è oggettivamente una contraddizione che non può essere accettata da chi ne fa, come noi, una questione di merito e di metodo. Se fai uscire gli ogm dalla porta non puoi farli rientrare dalla finestra e fare pure finta di nulla. E’ come mettere la polvere sotto il tappeto. Altra cosa ancora è farne una questione etica come sempre Italia Oggi propone attraverso il commento alle parole di Vecchioni scritto da Marino Longoni (“La sacralità dell’uomo e della natura”): «Per gli ambientalisti più intransigenti il peggior sacrilegio sembra essere quello di attentare agli equilibri della natura: nessun problema invece se ad essere violato è l’essere umano, o l’embrione».

Di questo argomento, che è controverso, ne abbiamo già parlato, ma riteniamo che “ci sia differenza tra lo studio delle staminali, che avviene in laboratorio, e quello sugli ogm, quando avviene in pieno campo e anche le conseguenze sono diverse. Non si pone in discussione lo studio sul dna e sulla materia vivente, né per gli ogm, né per le staminali, quello che è discutibile eticamente è l´uso che se ne vuol fare e l´applicazione. Questa deve essere regolata perché lo studio sulle staminali, per esempio, non deve servire per fare “pezzi di ricambio” per l’uomo, ma a dare più occasioni al nostro organismo malato di guarire. Quindi c’è una causa (la malattia) e una ricerca, quella sulle staminali, che mira a trovare un rimedio. Nel caso degli ogm, se proprio si vogliono soprapporre questioni etiche e questioni ambientali, non c’è alcun tentativo di ridurre attraverso di essi la fame del mondo (come qualcuno sostiene). Visto che, come spiegò bene il professor Buiatti a greenreport, “vengono coltivati da una parte per essere esportati ai paesi del nord del mondo, come mangime per produrre carne. E questa la chiamerei delocalizzazione industriale, non agricoltura”.


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