[11/01/2008] Energia

Massimo Scalia: Ecco perché il nucleare non conviene

LIVORNO. La strada all’ampliamento della produzione elettrica attraverso l’atomo in Gran Bretagna l’aveva aperta Blair, all’indomani dei dati provenienti dal rapporto Stern dei costi sull’economia prodotti dagli effetti del surriscaldamento del pianeta. E adesso Gordon Brown, attraverso la voce del segretario di Stato con delega alle imprese, John Hutton, presenta il programma di rilancio del nucleare britannico, che prevede un numero ancora non ben precisato di nuove centrali: alcune testate giornalistiche parlano di 22, altre di 12, alte ancora riportano la notizie che non esiste un tetto già fissato, ma che il numero dipenderà dalla capacità del mercato di torna a puntare sull´energia nucleare. E questa sembra essere la notizia più attendibile.

Secondo l’agenzia Reuters infatti nel libro bianco presentato dal ministro britannico dell’energia, sono quattro i criteri che dovranno guidare questo rilancio dell’atomo oltremanica: nessun tetto al numero degli impianti ma un vincolo alla costruzione a standard seri su smaltimento delle scorie e sul decommissioning (che significa quelli dettati dall’agenzia atomica) a fine vita; nessun finanziamento pubblico alle imprese che vorranno intraprendere questa strada cui non si nega però la possibilità di scaricare i costi aggiuntivi sulla bolletta.

Le nuove centrali andranno a sostituire progressivamente quelle esistenti (16, gestite metà da British Nuclear Fuels e l’altra metà da British Energy) che garantiscono attualmente il 20% del fabbisogno energetico della Gran Bretagna e che termineranno la loro vita operativa utile tra il 2010 e il 2023.

Con questa strategia la Gran Bretagna prevede di raggiungere gli obiettivi di contenimento delle emissioni previsti al 2020. Alcune aziende, tra cui la francese Areva, che sta costruendo assieme alla tedesca Siemens i 3 reattori di Olkiluoto, in Finlandia, si è già fatta avanti con la proposta di realizzarne almeno quattro ma forse addirittura sei entro il 2017. Altri sembrano più scettici ad investire in questo settore su cui si assiste ad un diffuso rilancio a livello mondiale. Secondo recenti dati dell’Aiea, sono 34 i reattori attualmente in costruzione in giro per il mondo, tra questi quattro sono in Europa, che attualmente supplisce attraverso l’energia nucleare al 34% del fabbisogno elettrico.

Ma come potranno le imprese reputare conveniente costruire nuove centrali senza finanziamenti pubblici, dato ad esempio che negli Stati Uniti neanche con questo aiuto economico, l’industria è disponibile a farlo?
A questa domanda ci ha risposto Massimo Scalia, fisico e docente dell’università La Sapienza di Roma.

«Negli Usa vi è stata un’accoglienza molto tiepida riguardo agli impianti prospettati, anche perché Moodies, l’agenzia che dà i voti sull’eccellenza dei progetti, ha espresso perplessità sui risvolti positivi di quei progetti. Certo se la Gran Bretagna decide di non dare direttamente i contributi alle aziende, ma di farlo passando attraverso le bollette, non lascia al mercato medesimo il rischio d’impresa. Che difficilmente se lo accollerebbe in toto.

I costi del nucleare sono infatti elevati e il caso della centrale in costruzione a Olkiluoto, in Finlandia, lo dimostra. Oltre al fatto che su un tempo di vita di due anni ha già accumulato un anno di ritardo nella costruzione, che si è ripercosso naturalmente sui costi, è bene sottolineare che quella centrale è fortemente sovvenzionata. La stanno facendo infatti con 600 milioni di euro francesi ottenuti con una formula di prestito che prevede lo stesso tasso agevolato che danno ai pesi in via di sviluppo e con quasi 3 milioni di euro della banca tedesca».

Ma non è che con l’attuale costo del petrolio e le stime di ulteriore crescita dei prezzi, il nucleare non sarà poi così antieconomico come è adesso?
«Questa drammatizzazione dei costi del petrolio andrebbe ridimensionata. Vorrei ricordare che il top del prezzo del barile fu nel 1985 quando costava 35 $ e il cambio con il dollaro era allora a 2.200 lire. Che vuol dire che un barile costava circa 80.000 lire. Se ci mettiamo sopra il valore dell’inflazione ad oggi, che si può considerare a 2,7,e lo trasformiamo in euro, si ottiene un valore di 100 euro che vuol dire circa 70 dollari al barile. Questo non significa che la situazione non sia preoccupante, ma che siamo ancora ben lontani da quel valore di 100 dollari portato ad oggi come la quota psicologica del greggio. E questo, oltre a tutto il resto delle valutazioni, fa ritenere ancora oggi il nucleare un tipo di energia assolutamente costosa».

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