[10/01/2008] Consumo

...perché l´ambiente non è solo emozione (forse)

LIVORNO. Forrester research stima che il 12% dei consumatori americani sia disposto a pagare di più un prodotto se a parità delle altre caratteristiche è efficiente dal punto di vista energetico o se prodotto da un’azienda impegna sul fronte ambientale.
Secondo Jupiter research invece, il 26% di chi acquista online è un “green shopper”, ovvero un consumatore che si fa influenzare dalla policy aziendale. Dati ai quali potremmo tranquillamente affiancare i sondaggi di ricerca italiani sullo stesso tema, che danno gli stessi risultati se non addirittura percentuali più alte, visto che la sensibilità ecologista negli Stati uniti è meno matura che in Europa.

La notizia non può che farci piacere, soprattutto se la domanda che cambia riesce pian piano a cambiare anche l’offerta: l’inserto Nova del Sole 24 Ore dettaglia quindi una serie di buone pratiche da parte delle aziende hi tech: dalla joint venture tra Panasonic, Sharp e Toshiba per il riciclo dei prodotti elettronici, ai computer rivestiti in plastica di mais o in bambù, dai caricabatteria intelligenti ai cellulari Nokia dove il 50% del materiale è riciclato e lo stesso caricabatteria è fornito solo su richiesta.

Tutto bellissimo ovviamente. Ma ovviamente tutto finalizzato ad aumentare comunque i consumi complessivi (e quelli legati al settore hi tech sono quelli che in quasi tutti i Paesi stanno trainando la crescita). Magari attraverso le emozioni, perché come spiega bene Gilles Lipovetsky nel suo libro Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo «si è passati da un consumatore assoggettato alle costrizioni sociali dello standing all’iperconsumatore a caccia di esperienze emotive».

Certo, è sempre meglio l’emozione verde dell’emozione da Super size me che sta riempiendo le nostre case, giusto per fare un esempio sempre sul fronte dell’hi tech, di televisori al plasma sempre più grossi e che consumano 4 volte di più di un vecchio e ormai quasi negletto televisore col tubo catodico.

Forse dovrebbe far riflettere che quando nacque greenreport, la campagna pubblicitaria allestita per lanciare il nuovo giornale era costituita da manifesti in cui sotto alla testata si leggeva un’unica frase: “… perché l’ambiente non è solo emozione”.

Almeno non dovrebbe esserlo. Anche se i numeri e i fatti dicono tutt’altro: l’offerta comincia ad indirizzarsi al verde perché fa comodo e perché migliora l’immagine aziendale (e fin qui non ci sarebbe alcun problema), ma proprio perché si tratta in massima parte di un ecologismo d’apparenza e di emozioni, questi investimenti sono tutti concentrati sul prodotto. Rivestire il pc di bambù è un’operazione di marketing ed è (forse) un’innovazione di prodotto, ma qual è il processo produttivo che sta dietro? I processi produttivi si vedono meno e vi si investe ( quando si investe) dal punto di vista dell’efficienza energetica, ma di efficienza dell´uso di materia non se ne parla. E quando se ne parla, lo si fa solo appunto in funzione di marketing.

Dice ancora Lipovetsky che è inutile illuderci: «Né le proteste degli ambientalisti, né i nuovi stili di consumo più sobrio saranno sufficienti a far deragliare il Tgv del consumismo, a contrastare la valanga dei nuovi prodotti dal ciclo di vita sempre più breve. Siamo solo all’inizio della società dell’iperconsumismo e l’unica uscita possibile è quella dall’alto e non dal basso, più attraverso l’ipermaterialismo che il postmaterialismo. Il tempo delle rivoluzioni politiche – conclude il sociologo e filosofo francese – si è compiuto». Speriamo che abbia torto Lipovetsky!

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