[09/01/2008] Comunicati

Cattiva industria + antindustria = ricerca italiana che se ne va

LIVORNO. Il Consiglio europeo delle ricerche (Erc) ha pubblicato i vincitori del bando riservato, quest’anno, ai ricercatori con non più di nove anni di dottorato, del valore di 300 milioni di euro.
«Quello di Ecr è il più innovativo meccanismo per la ricerca in Europa, basato esclusivamente sul merito e garantito da una rigorosa peer review» scrive dalle colonne di Repubblica, Salvatore Settis, che fa una riflessione sui risultati dei vincitori.

«L’Italia prima per numero di domande è seconda in Europa per numero di vincitori. Anzi - scrive Settis - se si guarda alla pattuglia di testa (i 53 vincitori che hanno avuto il punteggio massimo, 10 su 10) l’Italia è prima con 9 vincitori su 7».

Ottimo risultato quindi, da andarne sicuramente fieri e da riempire d’orgoglio gli atenei che questi ricercatori hanno formato. Ma c’è un neo. Che riguarda il luogo in cui questi ricercatori, chiamati a scegliere dove spendere il loro credito, decidono di farlo.

«L’Italia, prima per numero di domande e seconda per numero di vincitori, precipita – ci fa sapere Settis- al settimo posto fra i paesi che ospiteranno queste ricerche».
Ciò significa che gran parte dei nostri ricercatori andrà altrove e che dagli altri paesi sono scarse le richieste di venire in Italia a spendere l’assegno di ricerca.

Non solo: mentre l’occasione del bando Ecr, è stata colta da molti ricercatori europei per rientrare dall’America, questo processo non ha interessato nemmeno un italiano.
Pessima prospettiva. Ma c’era di che aspettarselo però, partendo dal contesto dato.

Se si guarda alla storia delle politiche economiche del nostro paese, si incontra una cortina di avversione verso l’industria (da almeno vent’anni a questa parte) ovviamente speculare in larga misura alla maniera miope con cui l’industria ha operato.

Una miopia esasperante, che ha portato oltre all’avversione verso l’industria, anche a una forte decadenza del comparto industriale, che si trova adesso ( alvo poche eccezioni) con una specializzazione in settori a basso contenuto tecnologico, in forte svantaggio di fronte alla necessità di innovare tecnologie e processi e quindi di dare anche spazio all’applicazione, che necessariamente deve seguire la fase di elaborazione astratta, del mondo della ricerca.

Atteggiamento di rapina verso i territori, scarsa o nulla propensione all’innovazione, nessuna attenzione all’ambiente e (purtroppo) nemmeno alla salute dei lavoratori in primis, e poi dei cittadini in genere, sono stati la causa della reazione di rigetto verso il sistema industriale, di cui però la ricerca non può fare a meno per trovare i propri punti di ricaduta e di applicazione anche nei settori primario e terziario.

Un problema non di poco conto per riavviare i motori dell’economia cercando di orientarla verso la sostenibilità ambientale, che oltre ad essere urgente in sé, per le sfide che incombono sul pianeta, è anche un volano per l’economia stessa.
Ma purtroppo i segnali che arrivano da una parte (chi dovrebbe orientare) e dall´altra (chi dovrebbe essere orientato) non sono affatto positivi: è di oggi per esempio l´intervista a tutto campo del Sole 24 Ore al presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, che continua ad essere ancorato a questa visione della crescita senza se e senza ma, della crescita per dirla con le parole del leader degli industriali, come «unico bene comune».

La sostenibilità invece chiede che l´economia sia orientata in senso ecologico: non insegue la non-crescita, ma indica dove si deve crescere e dove non si deve crescere.

Tornando alla ricerca, che come abbiamo visto non sarebbe altra cosa dall´industria, per le mete scelte dai ricercatori che hanno vinto il bando Erc, l’Italia viene sorpassata da Gran Bretagna, Germania, Francia e Olanda e eguagliata da Spagna e Israele, che per la ricerca è associato all’Europa. Scelte che non sembrano casuali se confrontate con il dato che pone il nostro paese ben al di sotto della media europea per la quota di brevetti e del mercato di prodotti a medio e alto contenuto tecnologico. E che la spesa in ricerca e sviluppo delle imprese, sebbene sia marginalmente cresciuta nel 2006, resta ancora a meno della metà della media europea.

Con queste prospettive è facile aspettarsi che chi ha capacità e riesce anche a trovare i fondi per le proprie ricerche vada a farle da un altra parte, dove può avere più chance di futuro.

Con la magra consolazione di constatare, magari, che i prodotti ad alto contenuto tecnologico (vedi ad esempio le tecnologie per l’energia alternativa) che il nostro paese è costretto ad acquistare da altri paesi europei, sono il frutto di una mente italiana.

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