[04/01/2008] Rifiuti

Il ´rifiuto´ del governo è solo in Campania?

LIVORNO. Fiumi di carta raccontano la debacle napoletana e campana nella gestione dei rifiuti.
Cominciamo da qui: chi scrive di rifiuti quasi mai se n´è occupato e scrive per sentito dire (editoriale del manifesto di oggi docet!). Infatti, ammesso che questi fiumi di carta vengano raccolti, tutti, in modo differenziato, c´è qualcuno che è consapevole che il 40% di questo fiume ritorna rifiuto? C´è qualcuno che è consapevole che, solo per il fatto che questo "rifiuto da rifiuto" (così si chiama, in gergo) cambia stato giuridico e da urbano diventa speciale, non per questo non deve essere trattato e smaltito correttamente?

Dalla nuova direttiva europea del novembre 2007 al nuovo testo unico licenziato il 21 dicembre scorso e presentato dal ministro Pecoraro come l´allineamento all´Europa, ciò che è incomprensibile non sono le cose che si debbono fare per gestire i rifiuti. Ciò che è incomprensibile è il perché (e il dove) non si fanno.
Si dà il caso che appena nel novembre scorso ci sia stata, a Vienna, l´ottava conferenza europea sulla gestione dei rifiuti
(dove sia detto per inciso, forse non a caso non era presente alcuna testata giornalistica italiana ad esclusione di greenreport).
E che lì, sia emerso con ogni evidenza che cosa si fa (e dove) per gestire al meglio ciò che diventa rifiuto (vedi grafici e tabelle a corredo dell´articolo).

Intanto sulla riduzione. E´ assolutamente evidente che con questa parolina magica si tende a confondere due fasi assolutamente diverse: la riduzione alla fonte e la riduzione in discarica. Per quanto riguarda la riduzione alla fonte, solo chi non sa incrociare la parola economia con quella di rifiuto, può pensare che sia un problema dominabile da chi gestisce i rifiuti. La riduzione alla fonte è logica e matematica conseguenza dei flussi di materia veicolati dalle politiche economiche. E quest´ultime sono contraddistinte (ovunque e sotto qualsiasi latitudine) dalla ricerca spasmodica della crescita della produzione (che significa crescita dei prelievi delle materie prime) e dei consumi. I giornali di oggi sono intrisi di spavento per il calo dello 0,5% del Pil che sarà indotto dal caro petrolio.
Ieri greenreport titolava: "Napoli, i rifiuti in strada, i saldi anticipati nei negozi".

Qualcuno ha idea della valanga di rifiuti che produrranno questi saldi, gli incentivi per l´acquisto delle auto e quelli per gli elettrodomestici? Qualcuno ha idea che quando entra in un negozio Unieuro o Euronics o Mediaworld, si trova in una futura discarica per rifuti pericolosi? Qualcuno ha idea che per diminuire (giustamente) le emissioni di CO2, l´altra faccia sarà una valanga di rifiuti? Lo pseudoradicalismo di chi vaneggia "rifiuti zero" è l´equivalente di chi sogna pasti gratis. Ma pasti gratis nel percorso di una economia sostenibile non ce ne sono!

Infatti, quando si parla di riduzione dei materiali in discarica (che è la forma più impattante e dissipatrice), si fa sì riferimento, alle raccolte differenziate, ma senza la consapevolezza che queste (anche qualora si garantisca la massima qualità del materiale raccolto) non possono essere scambiate per bacchette magiche che azzerano i rifiuti. In qualsiasi processo produttivo vi sono degli scarti. E scarti (i rifiuti da rifiuto, appunto) vi sono anche quando si processano materie derivanti dalle raccolte differenziate.

La carta, come detto all´inizio, che è il materiale assolutamente più riciclato e riciclabile, produce scarti che vanno dal 20 al 40% (senza considerare quelli di selezione, ovvero il cosiddetto pulper). Lo stesso potremmo dire di qualsiasi altra frazione di rifiuto raccolto in modo differenziato. E dunque, enucleare dalla gerarchia europea delle cose da fare per gestire bene i rifiuti, due sole azioni ( riduzione in discarica e raccolte differenziate) e con queste pensare di risolvere il problema significa non conoscere nulla del "viaggio" obbligatorio dei rifiuti. Anche senza scomodare il secondo principio della termodinamica.

Ma quanti di quelli che scrivono e parlano sui rifiuti, hanno questa cognizione?

Il fatto è che, a parte una riconversione ecologica dell´economia di cui se ne vedono appena gli albori per quanto riguarda i flussi di energia e non se ne sente neanche l´odore per quanto riguarda i flussi di materia, chi è chiamato a gestire i rifiuti ( urbani, ovvero quelli di prodotto, perché gli speciali, che sono tre volte tanti non preoccupano nessuno) deve saper contemporaneamente (cioè, senza una gerarchia temporale) agire sul fronte della riduzione a discarica, di quello delle raccolte differenziate e di quello della valorizzazione energetica delle frazioni non recuperabili come materia. Se si pensa, come si pensa, che sia possibile una gestione dei rifiuti sostenibile agendo solo su un anello della catena si producono guasti economici ed ecologici. E ciò vale sia per chi pensa che la pietra filosofale siano le raccolte differenziate come per chi la vede nella sola termovalorizzazione.

Questo ci dicono direttive europee e leggi nazionali e regionali. Questo ci insegna l´Europa. Da Parigi a Copenaghen, da Vienna a Monaco, da Zurigo a Stoccolma. E non è affatto vero che, come dice Ganapini su Il Manifesto di oggi, in Europa si utilizzino le centrali elettriche e i cementifici per recuperare energia dai rifiuti da cui non si può più recuperare materia. Non foss’altro che per problemi di maggior sicurezza e minori impatti ambientali, gli impianti dedicati sono preferiti proprio perché hanno, fin dal loro concepimento, tecnologie di abbattimento che centrali e cementifici non hanno.
Ma questo è proprio quello che non si riesce a fare in larghissime zone dell´Italia, non solo a Napoli! E sarebbe da chiedersi perché, anche in Italia, si brucia di tutto nei cementifici senza alcuna protesta mentre per gli impianti dedicati si sfiorano le tragedie greche. Altro che lobby inceneritorista!

Anche in Italia comunque, dove si fa, si evidenzia che non ci sono pietre filosofali. Ci sono organizzazione, rigore e affidabilità, capacità di non illudere con scorciatoie di qualsiasi tipo.

Ingredienti, questi, che permettono sia la partecipazione, sia il fisiologico conflitto, sia la fisiologica capacità di sopportare il conflitto che, in una società democratica, non è giustamente mai azzerabile.
Ovvero, il problema non è né di carenza della legislazione, né di carenza di tecnologie, né di carenza di strumenti: il problema è di crollo della governance, di "rifiuto" del governo! Dove esistono, anche localmente, la volontà e la capacità di governo, il problema dei rifiuti è gestito al meglio secondo i mix che meglio sono praticabili localmente. Dove questa capacità o volontà non ci sono, come (ma ripetiamo, non solo....) a Napoli e in Campania, allora ci si sbrana su tutto meno che sul problema vero: se non si ripristina il circuito informazione-partecipazione-decisione, non ci sarà scampo alcuno. Non solo in Campania. E non solo per i rifiuti!

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