[04/01/2008] Energia

Il barile da 100 dollari e le armi di distruzione di massa

LIVORNO. Il petrolio ad oltre 100 dollari non era certamente nell’orizzonte delle intenzioni della lobby petrolifera che decise di portare Bush alla Casa Bianca, ma forse era nelle preoccupazioni che portarono Bush ed i suoi poco lungimiranti alleati ad invadere l’Iraq con la scusa delle armi di distruzione di massa prima e poi con quella della difesa della democrazia dal terrorismo.
Nessuno, nemmeno chi autorizzò la “missione di pace” italiana, ha creduto per un solo attimo a quelle scuse, tutti sapevano che quella guerra era per il petrolio, per il controllo dei flussi energetici del Golfo Persico, per evitare che il più importante produttore di oro nero continuasse ad essere governato da un dittatore come Saddam, il cui vero difetto era il suo istinto ricattatorio e la cui vera colpa era il congelamento di risorse vitali per soddisfare la bulimia energetica degli Stati Uniti.

Lasciando perdere gli immani disastri umanitari, economici e politici che la guerra ha prodotto, creando uno spazio prima inesistente per Al Qaeda in Iraq e rafforzando le monarchie ed i regimi autoritari dell’area (compreso l’Iran), quel che balza subito agli occhi è il clamoroso fallimento del vero motivo che ha portato all’invasione dell’Iraq, il controllo manu militari del petrolio e del suo prezzo per consentire all’occidente di avere una fonte di approvvigionamento a buon mercato e direttamente gestibile e controllabile, il tentativo di trasformare con un’esibizione di forza e potenza militare il Golfo Persico in un protettorato energetico americano le cui briciole sarebbero state distribuite agli alleati più fedeli.

E’ incredibile come i risultati di questa avventura irakena e le sue conseguenze siano state totalmente rimosse dalla discussione politica italiana, ma é altrettanto sensazionale il mutamento repentino di una situazione geopolitica e energetica che si è evoluta secondo direttrici completamente diverse da quelle disegnate con sicurezza dalle teste d’uovo neocon di Washington e propagandata in Italia da entusiasti interpreti come Giuliano Ferrara, ma che forse proprio da quella sono state innescate e favorite in maniera determinante.

A ricordare il fallimento di quelle sicurezze non sono solo le migliaia di bare dei soldati americani che segnano macabre il declino di Bush, ma soprattutto il prezzo del gallone di benzina esposto dai distributori Usa.

Mentre la mossa imperiale dei repubblicani Usa segnava con l’abbattimento della statua di Saddam Hussein la definitiva chiusura di una interminabile guerra fredda, regolando i conti con un ex alleato scomodo, il mondo cambiava, scompaginava le zone di influenza e altri ingombranti e deideologizzati attori si affacciavano prepotentemente sullo scenario economico, l’orso russo si scuoteva dalle ceneri della sconfitta del socialismo reale e presentava anch’esso agli Usa e all’Occidente il salato conto di una rinascita basata proprio sulle disponibilità energetiche.

Il solo vero pensiero unico si è rivelato quello di un liberismo senza più freni e oppositori reali, declinato in molte lingue, ed i sogni statunitensi di essere ormai diventati l’unica potenza globale è morto proprio in Iraq, dove aveva cercato di incarnarsi con menzognera protervia, si è frantumato in un mondo multipolare e cinico, dove le bandiere rosse nascondono il turbocapitalismo asiatico e nel quale lo stile di vita americano è sia bramato che rinfacciato alla stessa America, accusata ancora di scaricare il suo insostenibile peso sulle spalle del mondo e osteggiata apertamente quando vuole imporre ad altri limiti e modelli democratici che ritiene universali.

Con l’avventura irakena l’America pensava di diventare il riverito gestore del più importante rubinetto della pompa petrolifera mondiale, il dispensatore di democrazia in cambio di ubbidienza, si è trovata invece a svolgere un defatigante ruolo di poliziotto del mondo, o meglio della sua periferia più pericolosa, arroccata in un deserto irakeno dal quale uscirà faticosamente e senza onore, assediata nelle montagne dell’Afghanistan da una banda di straccioni che propugnano un califfato islamico da Giakarta a Rabat che si riappropri delle risorse energetiche.

E’ rimasta praticamente da sola a fare la guardia ad un bidone petrolifero (e nucleare nel caso dell’Iran) sempre più caro, sempre più difficile da far digerire in patria, sempre più circondata da amici inaffidabili, da dittatori irriconoscenti e doppiogiochisti, mentre gli altri, con le mani da sempre libere o liberate dal pantano irakeno e dalle pericolose paludi che lo circondano, trattano e fanno affari con tutti. Petrolio permettendo.

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