[03/01/2008] Energia

E intanto oggi altri 7 morti in un assalto a un pozzo petrolifero nel Delta del Niger

LIVORNO. Il prezzo del petrolio ha raggiunto per la prima volta i 100 dollari al barile, spinto dalla domanda ma anche dalle preoccupazioni per l’annuncio dell’Opec sulla sua incapacità di fornire petrolio a sufficienza entro il 2024 e per l’insicurezza e l’instabilità della situazione nigeriana dove l’ennesimo assalto di gruppi armati ribelli del Delta del Niger, stavolta con 4 poliziotti e tre civili uccisi, è arrivato direttamente a Port Harcourt, nel cuore petrolifero.

Il caso della Nigeria, il principale produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana e con notevoli riserve di gas (mal sfruttate e dissipate dalle “torce”) è emblematico, visto che nel Paese manca il carburante e sono frequenti furti di petrolio direttamente dalle condutture, con frequenti esplosioni ed incendi che fanno strage dei “ladri” che si riappropriano così di risorse che finiscono all’estero senza nessuna ricaduta economica locale ma con un diffuso inquinamento.

Guerriglia, povertà, secessionismo etnico e devastazione ambientale hanno creato una miscela esplosiva ed una delle proposte per tentare di disinnescarla è quella di chiamare gli investitori stranieri a costruire raffinerie in Nigeria per produrre diesel e benzina direttamente sul suolo nigeriano profittando dell’industria petrolifera.

Alhaji Sani Babura, responsabile dell´Associazione dei commercianti indipendenti di petrolio della Nigeria (Ipman) ha detto che «gli investimenti privati nelle raffinerie favoriranno lo sviluppo dell’economia nazionale. Se gli investitori locali non sono capaci di costruire delle raffinerie, l’intervento straniero costituirà una soluzione ai problemi legati al trattamento del greggio nigeriano. L’investimento straniero creerà posti di lavoro e darà agli uomini d’affari nigeriani l’opportunità di acquistare delle azioni nelle raffinerie».

Dall’Ipam viene anche un appello ai nigeriani a sostenere il governo centrale per cercare una soluzione durevole alla crisi del Delta del Niger (che secondo i ribelli sono state create proprio dalle politiche governative) per attrarre i vantaggiosi investimenti stranieri nella regione petrolifera nigeriana.

Un ragionamento prettamente economicista, che guarda a risorse di petrolio e gas sempre più preziose che appaiono sempre più svendute e mal gestite e sulle quali vorrebbe mettere le mani e dire la sua una classe imprenditoriale nigeriana finora ai margini del banchetto economico mondiale. Ma che non tiene conto dei nodi politici, etnici e religiosi che ingarbugliano fin dall’indipendenza nigeriana la vicenda del Delta del Niger. Imprenditori che devono anche fare i conti con un movimento diffuso di protesta e di rivalsa che, al di la delle punte estreme dei sequestri e della guerriglia autonomista, vede un’intera popolazione protestare contro l’invadenza delle compagnie petrolifere straniere, viste come complici e mandanti di un governo federale centrale che permette la rapina le risorse petrolifere e non ridistribuisce i guadagni tra i popoli del Delta.

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