[20/12/2007] Rifiuti

I rifiuti non spariscono con la bacchetta (Petroldragon insegna)

LIVORNO. In Gran Bretagna si cerca il modo di ridurre la quantità di rifiuti in discarica (e a dir al verità a buon titolo dato che manda nelle discariche molti più rifiuti che qualsiasi altro paese europeo), secondo quanto afferma l´Associazione del governo locale (Lga) britannica che ha calcolato in 27 milioni di tonnellate la spazzatura che ogni anno viene così smaltita. Con questi ritmi la stessa Lga calcola che il paese esaurirà lo spazio per le discariche entro nove anni.

La via scelta- come si legge oggi su Nova (inserto del sole24ore) è quella del trattamento meccanico biologico, ribattezzato a casa nostra come trattamento a freddo.

E l’esempio è quello della cugina Australia, dove a Sidney opera appunto un impianto di questo genere e che, come ammette l’autore dell’articolo, non è niente di nuovo in quanto a tecnologia, ma ha la caratteristica di essere altamente efficiente.

Con la conseguenza che il rifiuto viene selezionato con maggiore efficacia e permetterà così, all’azienda inglese che lo vuole impiantare nel Lancashire, di ridurre ad una quota del 15% la quantità di rifiuto da smaltire in discarica. Una riduzione che sarebbe significativa, anche se altra cosa dallo “zero waste”, come obiettivo che – sempre secondo chi ha scritto quell’articolo- vorrebbe raggiungere l’azienda inglese.

Un impianto di Tmb è infatti una tecnologia che utilizzando sistemi di separazione meccanica è in grado di recuperare materiali da rifiuti indifferenziati. Con questo sistema si possono estrarre frazioni quali vetro, plastiche dense, alluminio, acciaio, carta, cartone e pellicole di plastica, da avviare a riciclo. Mentre la frazione organica residua viene avviata a un trattamento anaerobico-aerobico, invece che subito aerobico. Dai processi anaerobici si produce biogas che potrà essere avviato a recupero energetico. Dai processi aerobici invece si ottiene una frazione stabilizzata (assai diversa dal compost di qualità ottenuto dalla frazione organica selezionata a monte), cioè una sostanza organica che ad oggi può essere utilizzata per la copertura giornaliera di discariche o per i ripristini ambientali quali i recuperi di cave. E che nel caso dell’impianto che si progetta di fare nel Lancashire servirà a riportare sostanza organica in aree industriali dismesse, ovvero una pratica assai simile alla bonifica (nell’articolo si parla di riforestazione con 100mila nuovi alberi, dove evidentemente la frazione organica stabilizzata servirà solo all’organicazione dei terreni ndr).

Un percorso interessante su cui si sta lavorando anche nel nostro paese; una parte importante del sistema di gestione dei rifiuti a livello europeo che, con il recepimento della direttiva discariche 99/31 (Dlgs 13 gennaio 2003 n. 3) che prevede la progressiva riduzione della percentuale di sostanza organica presente nei rifiuti da smaltire, potrà avere un ulteriore incremento del numero di impianti e della relativa capacità di trattamento.

Una parte appunto del sistema, che risulta però difficile associare automaticamente all’ottenimento degli obiettivi zero waste, se non come limite cui tendere e per cui investire molto di più a monte: dall’efficienza di processo, al minor consumo di materia sino a passare per una revisione degli stili di vita di ognuno di noi (che molti predicano ma le pratiche sono misurabili proprio in questi giorni).

Applicando un semplice bilancio di massa, appare evidente che le quantità residue di questo trattamento (e questo vale per qualsiasi trattamento), seppure certamente inferiori rispetto alla situazione attuale, non potranno mai tendere allo zero. E considerando il ciclo per intero, alle quantità ottenute da questo trattamento vanno anche aggiunte le quantità che originano dalla selezione delle raccolte differenziate, dal trattamento dei materiali derivati e dal riciclo degli stessi( che non sono più rifiuti urbani ma sempre rifiuti sono!).

Senza considerare le sostanze che allo stato gassoso verranno emesse in atmosfera (o trattenute dai filtri) nella fase di combustione del biogas ottenuto dalla digestione anaerobica della sostanza organica.

Questo per dire che le facili semplificazioni di sistemi complessi rischiano di essere fuorvianti e di ingenerare illusioni. Lo sviluppo di nuove tecnologie e di affinamento di quelle già esistente è senza dubbio obiettivo da perseguire e da incentivare, senza però farsi affascinare da sirene che potrebbero rivelarsi poi meno fulgide di quanto appaiono. Così nel caso di un altro articolo, che compare nella stessa pagina di Nova, dove si illustra un processo messo a punto a Brescia, in grado di trasformare i rifiuti in “combustibile più efficiente del gasolio”. Tecnologia che ci auguriamo possa dare risultati eccellenti ma che fa tornare alla memoria una vicenda analoga, avvenuta sempre in Lombardia. L’azienda si chiamava Petroldragon, l’inventore del processo che avrebbe dovuto trasformare i rifiuti in petrolio, Andrea Rossi (nella foto davanti al suo impianto, ndr). Ma la tecnologia non si dimostrò pari alle aspettative: il sig. Rossi non riuscì a trasformare i rifiuti in petrolio e cominciò a disseminarli in giro per la Lombardia. L’epilogo della storia è costato ai cittadini oltre 100 miliardi di vecchie lire e ad oggi ci sono ancora bonifiche in corso di ultimazione.

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