[18/12/2007] Urbanistica

Urbanistica, la proposta di Conti: «Tradurre in regole la carring capacity»

LIVORNO. A breve uscirà il libro curato da Riccardo Conti (Nella foto) dal titolo : «Innovare e amministrare. Un anno di dibattito urbanistico in Toscana» e il sottotilo annuncia già di che si tratta. La raccolta dei contributi - rappresentati dagli interventi, dalle relazioni, da carteggi - alla discussione avviata in Toscana sul tema del governo del territorio che ha portato all’approvazione del Pit, ma prova ad anadre oltre.
«Un libro a suo modo “fazioso”» lo definisce Conti nella prefazione «perché non vuole fornire un “reportage” giornalistico sul dibattito che si è svolto, quanto documentare il punto di vista “riformista”, la sua ricchezza pratica e teorica, rispetto ad una vulgata che tende a banalizzare l’azione di governo del territorio toscano in stereotipi, questi sì, ottocenteschi, con un richiamo permanente ad un’ ”urbanistica della paura”, tutta vincoli e divieti, e ad un centralismo esasperato, della cui inefficacia è piena la storia del nostro Paese».

L’obiettivo che traspare dal libro è anche quello di rappresentare esso stesso a sua volta un contributo ad una discussione più ampia che si dipana a livello nazionale sul tema della riforma della legge sul governo del territorio da una parte, e da quella del codice Urbani dall’altra, spesso senza riuscire a trovare una sintesi condivisa.

«In tal senso questo libro è, anche, testimonianza – si legge ancora nella prefazione dell’autore- di uno sforzo “riformatore” più ampio, cioè di quel “laboratorio toscano” su cui spera di contribuire ad attrarre l’attenzione politica e culturale di ambienti più larghi dei confini tradizionali».
Per entrare nel merito di alcuni temi specifici che vengono affrontati nel libro, ne abbiamo parlato direttamente con l’autore Riccardo Conti, che è assessore all’urbanistica della regione Toscana.

Nel libro si chiede se “non si possa utilizzare il concetto di capacità come sintesi teorica tra sostenibilità e sviluppo”- e ancora si parla di “una nuova e diversa concezione di invariante strutturale ove limite e potenziale trovano una produttiva armonia” spieghiamo meglio questo
concetto.

«Nell’idea che ho del governo del territorio mi piacerebbe arrivare ad una contaminazione di concetti. Io penso che l’urbanistica debba tornare ad essere, o debba diventare, una pagina della cultura contemporanea, in cui vi sia una struttura di profondo intreccio tra cultura politica ed economia, perché adesso è relegata in uno specialismo eccessivo. Per questo credo che lo sforzo culturale da fare sia quello di leggere il territorio nelle sue potenzialità e nella capacità che esprime di dinamismo e sviluppo, di identità culturali e di apertura al nuovo. Dobbiamo individuare un dinamismo secondo i criteri di sostenibilità, e il concetto di capacità che mi piace mutuare da Amartya Sen, secondo me contiene questa carring capacity che applicata al governo del territorio si può tradurre in una frase di Bersani che a me piace molto: quando, dove e come si può, si fa. Un piano fatto solo sulla base del dimensionamento in metri quadrati e in metri cubi, è secondo me sbagliato, perché va fatto sulla base della carring capacity di un territorio. Sicuramente c’è un problema non semplice, che è dato da come tradurre tutto ciò in criteri, regole, indicatori che possano poi essere letti nella fase di amministrazione quotidiana dei regolamenti urbanistici. Dovremmo allora andare verso una cultura post-urbanistica ma che sia capace di essere letta dai regolatori. Per questo vorrei aprire, a partire dal prossimo anno, una grande discussione sugli strumenti di governo del territorio, sulla pianificazione e se poi sarà necessario sono disponibile anche a cambiare la legge».

Sul fatto di investire e non consumare le risorse e sul consumo dei suoli c’è stata una polemica durata mesi della quale nel libro si dà un ampio resoconto in una apposita appendice. Non potrebbe essere utile inserire la contabilità ambientale come criterio per misurare il livello di consumo delle risorse, compreso il suolo?
«Sicuramente la contabilità ambientale è un criterio utile ed anche sulla spinta di Legambiente e Ambiente e Lavoro è stata introdotta nel Pit. Ma non basta. Perché credo si debba ragionare non solo in termini ambientali, ma anche sociali ed economici, perché questo valorizza anche l’aspetto ambientale. Sicuramente bisogna partire dai numeri, ma vanno poi interpretati in maniera evolutiva e non statica. Vorrei laicizzare il concetto di consumo del suolo, per valorizzarlo e farlo diventare gradiente. Se diventa un vessillo ideologico, allora il piano di recupero va bene e il resto no. Ma questo può portare a pericolose strettoie. Si pensi alle aree industriali, o ai capannoni non è detto che vada bene recuperare tutto. Io credo che si possa definire finita anche l’epoca della legge 64 che ha attratto miliardi e che attraverso il restauro delle case coloniche le ha trasformate in residenze di lusso. Adesso non basta più dire solo restauro, ma è necessario operare con più selezione anche nella scelta degli interlocutori e degli imprenditori. Da qui il concetto di reddito e non rendita. Ma anche il concetto di sovrappiù. Nel senso che se è solo il criterio fisico a guidare il governo del territorio e la pianificazione non va bene. Ma se è indirizzato a darmi un sovrappiù di beni comuni allora credo sia un vantaggio. E tra i beni comuni ci metto il reddito, la qualità del territorio, le attività che si possono sviluppare. Io vorrei che ogni piano regolatore fosse la ricerca di sovrappiù. Per questo vorrei aprire una riflessione cui chiamare tutti e da cui alla fine venga fuori una idea che possa essere sintetizzata in regole, indicatori, che riescano ad esprimere questo concetto che vada oltre il dimensionamento in metri quadri o in volumetrie».

Il concetto di paesaggio è però difficile da incardinare dato che si lega molto al criterio soggettivo del bello o del brutto. E la conservazione del paesaggio è diventato la bandiera di un certo modo di interpretare il governo del territorio e di come questo si realizza. Per cui si chiede il massimo livello di partecipazione alle scelte di governo del territorio e si richiede allo stesso tempo che le decisioni vengano allontanate il più possibile dal territorio stesso. Come si porta a sintesi questa dicotomia?
«Mi pare significativo che una parte della cultura di sinistra non sappia fare altro che evocare un ritorno al centralismo di Bottai, alla cultura del ‘39, che essendo cultura di regime non si può certo definire un modello di democrazia. A me piace pensare al paesaggio come contaminazione, che si realizza attraverso un modello di democrazia e un’azione di pianificazione e tutto ciò concepisce un paesaggio come qualcosa che si evolve. Io credo che debba esserci centralità nel piano pubblico che si attua poi con l’apertura. E l’apertura potrà essere sia il mercato sia la limitazione delle risorse. Montaione per esempio sta diventando un esempio concreto su come si attua questo ragionamento. Lì la popolazione, le istituzioni, tutti coloro che sono stati consultati ci hanno detto fate, ma state attenti. E’ importante che maneggiate con cura».

E come si traduce questa raccomandazione?
«Con la selezione di cui parlavo prima, che si realizzerà sia con un ridimensionamento del progetto in modo che l’edificazione serva al progetto imprenditoriale, ma senza alterare gli equilibri esistenti e con prescrizioni sulla destinazione d’uso. E a Montaione il progetto imprenditoriale prevede sia attività turistica sia agricola, proprio con l’obiettivo di non alterare gli equilibri di quel territorio».
Un’ultima domanda. Quando uscirà il libro?
«Credo a gennaio».

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