[14/12/2007] Trasporti

Auto-strade d´asfalto e di cervelli

LIVORNO. In giorni in cui tutti cercano di dirci come stiamo, dove andiamo, quanti soldi spendiamo, quanti ne risparmiamo, quanti figli abbiamo, che politici ci ritroviamo, quale società civile siamo, arrivano notizie fuori statistica – apparentemente – che fotografano in un clic (forse in modo anche più efficace) il modello di sviluppo dal quale non usciamo. Da diversi anni, peraltro. E senza colpo ferire, per giunta. Non è (o almeno non è solo) una questione di “poltiglia di massa” (Censis), o di quanto “siamo preoccupati dell’ambiente” (Istat 2007), o di quanto siamo “poveri e vecchi”(New York Times), bensì di una forma mentis (che forse è la summa di tutte quelle cose) che appare scolpita nella roccia.

Corriere della Sera di oggi pagina 44: “Quelle carriere da costruire sull’asfalto. Il settore in crescita apre le porte a dirigenti e ingeneri”. Il tema è quello dell’offerta di lavoro e stando al Corsera nel settore autostrade ce n’è per tutti i gusti: «progettisti, strutturisti, pianificatori, impiantisti, esperti nei trasporti e nelle infrastrutture a rete, esperti in ingegneria sismica, architetti, esperti in pianificazione urbanistica, paesaggisti, economisti, esperti nella finanza di progetto, geologi e agronomi, impiegati e operai».

Insomma, mancano solo i nani, i ballerini e i laureati in lettere che non li vuole nessuno (purtroppo). Al di là della facile ironia, il punto è che – con rispetto parlando per tutte le professioni chiamate in causa – si tratta di “lavoro insostenibile”. Di sicuro ambientalmente, perché non si parla di ristrutturazioni, bensì di nuove autostrade e non della Salerno-Reggio Calabria tanto per intendersi, ma di tratti nuovi e specialmente al nord. Ma anche socialmente questo lavoro – che è un valore in quanto tale – significa però consumo di territorio e peggioramento della qualità della vita, per chi almeno non individua nel più strade e più macchine, la via per Damasco. Il costruire nuove strade in un Paese come l’Italia significa che non si vuol scendere dall’auto nemmeno a morire (morire), che non si vuol rendere la mobilità più sostenibile se non a parole, come dimostrato dall’ultimo blocco dei Tir. Metafora di una nazione che proprio non vuol voltare una pagina che ha cominciato a scrivere negli anni ’50…

Ma che certi modelli ancora resistono al tempo (tempo), lo si evince anche da quello che sta accadendo a Livorno dove l’Eni ha deciso di investire 200 milioni per il biodiesel, indicando la città toscana come il polo europeo del gruppo. Si parla di un grande impianto di “Green diesel”, diesel verde (in un’area dove c’è già da anni la Novaol che fa più o meno lo stesso prodotto) e che lavorerà – si dice – 6.500 barili di oli vegetali al giorno. Oli che Eni acquisirà dalla Petrobras brasiliana.

Inutile ricordare quello che sta accadendo in Brasile a causa dello sviluppo troppo accentuato di biocarburanti, anche perché il punto che vogliamo mettere in evidenza è un altro: l’idea di sostituire una fonte fossile come il petrolio con un’altra tout court come può essere il biocarburante è una semplificazione che ben poco ha a che fare con la sostenibilità ambientale.

Le fonti energetiche vanno diversificate e calibrate territorio per territorio, e il criterio direttore deve essere quello della sostenibilità ambientale che significa fare anche bilanci energetici, bilanci di massa e bilanci costi benefici. Se cambi il carburante, riduci in parte la C02 emessa dalle auto, ma non risolvi il problema della mobilità (ma il discorso vale anche per le grandi centrali fotovoltaiche o idroelettriche ecc). Se poi per produrre il biocarburante si prende la materia prima in Brasile, dove hanno riconvertito l’agricoltura alimentare in quella energetica per larghissima parte con diverse ricadute negative sulla qualità della vita dei contadini ma non solo, e poi la si trasporta in Italia per lavorala e poi in Europa per distribuirla, crediamo che il bilancio almeno energetico sia dubbio.
Comunque va dimostrato e, ripetiamo, significa soprattutto insistere ad agire su variabili di dettaglio dentro un modello di sviluppo insostenibile.

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