[13/12/2007] Rifiuti

Nuova direttiva Ue sui rifiuti, confermata la gerarchia della gestione

LIVORNO. La Comunità europea riscrive la norma sui rifiuti: ridefinizione della nozione di “rifiuto”, di “raccolta”, di “recupero”, inserimento del concetto di “riciclaggio” e revisione del campo d’azione sono le maggiori novità.
Lo schema di direttiva - pubblicato in Gazzetta ufficiale europea del 29 novembre di questo anno - costituirà il nuovo quadro normativo sulla gestione dei rifiuti e sostituirà la direttiva 2006/12.

Il provvedimento in corso di approvazione è stato presentato dalla commissione il 21 dicembre del 2005, è poi stato oggetto sia di relazione da parte della Commissione ambiente del Parlamento Ue il 15 dicembre 2006, sia di parere dal Parlamento europeo in prima lettura il 13 febbraio 2007 e anche di accordo politico in sede di Consiglio Ue il 28 giugno 2007.

Lo schema di direttiva concentra l’attenzione sugli impatti ambientali derivanti dalla produzione e dalla gestione dei rifiuti, tenendo conto del ciclo di vita delle risorse: dunque riconferma la “gerarchia” delle fasi della gestione del rifiuto: prevenzione, recupero di materia, recupero di energia e infine smaltimento in discarica come ultima ratio.

Secondo l’Ue – così come si legge nella relazione dello schema di direttiva – i rifiuti costituiscono una risorsa preziosa e un maggiore ricorso agli strumenti economici potrà consentire di massimizzare i benefici ambientali. Del resto è ormai dimostrato che gli strumenti economici che presentano un buon rapporto costi-efficacia sono e possono essere utili alla realizzazione degli obiettivi di prevenzione e gestione dei rifiuti. Una gestione dei rifiuti che ancora passa Ecco dunque perché nella proposta di direttiva l’Ue incoraggia il ricorso a tali strumenti a livello appropriato.

Innanzitutto la direttiva in itinere, esclude dal campo di applicazione del regime il suolo contaminato non scavato, i sottoprodotti animali e agricoli (odiernamente sottoposti alla disciplina) e rivede la definizione di rifiuto.

Lo schema della direttiva mantiene la definizione di rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”, ma elimina il riferimento al criterio oggettivo dell’elenco delle categorie di rifiuti e inserisce un meccanismo giuridico che consente di chiarire quando un rifiuto cessa di essere tale e possa essere riclassificato come prodotto materiale o sostanza secondaria.

L’odierna definizione (quella della direttiva 2006/12/ce) ha posto e continua a porre numerosi problemi interpretativi e i due criteri uno soggettivo e uno oggettivo non aiutano nella determinazione di ciò che è rifiuto. L’elemento oggettivo - richiamato dalla disciplina odiernamente in vigore - fa riferimento ad un elenco di rifiuti fra cui la categoria “Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nella categoria sopra elencata” che in pratica cataloga come potenziale rifiuto qualsiasi sostanza. Di conseguenza per dire che un residuo è rifiuto è necessario basarsi sull’altro elemento; in particolare sul significato da attribuire al termine “disfarsi”. Una prima indicazione è rinvenibile nell’elenco delle operazioni di smaltimento e di recupero contenute dalla stessa direttiva (allegato II) ed in particolare dalla scelta del produttore del rifiuto di avviarlo ad una delle operazioni previste nell’allegato II della direttiva. Ma ciò non risolve il problema quando una sostanza non è avviata a nessuna delle operazioni di smaltimento o recupero individuate ovvero quando il residuo è riutilizzato in un procedimento industriale senza essere oggetto di nessuna preventiva operazione di recupero.

Proprio per ovviare a questo enorme problema (enorme perché se non si sa cosa è rifiuto non è neanche possibile disciplinarlo correttamente) lo schema di direttiva introduce il meccanismo in base al quale un rifiuto può essere riqualificato come prodotto, materiale, o sostanza secondaria se è stato sottoposto a riutilizzo, riciclaggio o recupero; la riclassificazione non comporta impatti ambientali complessivamente negativi; ha un mercato; risponde alle caratteristiche tecniche stabilite dalla Commissione Ue per categorie specifiche di rifiuti.

Quindi, rivede la definizione di raccolta non ricomprendendo più le operazioni di trattamento che comportano la miscelazione o la cernita dei rifiuti e ridefinisce la nozione di recupero che mira a stabilire un confine più certo tra operazioni di recupero e operazioni di smaltimento.

E sempre nella logica del risparmio delle risorse lo schema della direttiva inserisce ex novo, la nozione di riciclaggio definendola come il recupero dei rifiuti sotto forma di prodotti, materiali o sostanza da utilizzare per la loro funzione originale o per altri fini. Sembrerebbe dunque, comprendere il ritrattamento del materiale organico, ma non (sicuramente) il recupero di energia, la conversione per l’impiego come combustibile, i processi che comportano una combustione o l’utilizzo come fonte energetica, compresa l’energia chimica o le operazioni di colmatazione. Questo perché – così come si legge nella Risoluzione del Parlamento europeo su una strategia tematica per il riciclaggio dei rifiuti – l’Ue “esige che tutti i rifiuti destinati al recupero di energia o all’incenerimento rimangano rifiuti” sottoposti alla direttiva 2000/76 sull’incenerimento degli stessi.

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