[12/12/2007] Parchi

Fao: Il climate change ad alta quota minaccia animali, vegetali e acqua

ROMA. Ieri era la giornata internazionale della montagna, ma secondo la Fao gli ambienti montani non stanno affatto bene: «l’aumento delle temperature sta avendo delle ripercussioni profonde sugli ecosistemi montani e sulle popolazioni che vi abitano. Lo scioglimento dei ghiacciai se nel breve periodo fa aumentare la disponibilità d’acqua, nel lungo periodo ha effetti opposti. Inoltre rende più probabili le inondazioni e causa la migrazione di specie animali»

Per Alexander Müller, vice direttore della Fao per le risorse naturali, «Con la scomparsa dei ghiacciai e lo spostamento verso l’alto del limite delle nevi perenni, la portata dei fiumi potrebbe cambiare e la conseguente mancanza d´acqua potrebbe dare origine a situazioni di conflitto, ed avere conseguenze sulla produzione di energia elettrica e sulle condizioni di vita di coloro che dipendono dal settore forestale e dall’agricoltura per la propria sopravvivenza».

Gli ecosistemi montani forniscono servizi ben oltre là della loro area geografica: bilancio idrologico, regolazione del clima e sopravvivenza di molte specie animali e vegetali, ma secondo il quarto rapporto Ipccc il riscaldamento globale ha pesanti ricadute sull’agricoltura, sulle foreste e sulla pesca e sulle zone montane che sono particolarmente sensibili.

La fao fa l’esempio di uno Stato himalayano, il piccolo regno del Bhutan, dove «i ghiacciai stanno regredendo ad una media di 20-30 metri all’anno, con effetti devastanti a valle a causa delle inondazioni che provocano con il loro carico di perdita di vite umane, produzione agricola, bestiame e terra per il pascolo». Ma anche le Ande peruviane hanno ormai completamente perso calotta glaciale, che una volta veniva chiamata “il leone dormiente”, cosa che ha causato il prosciugamento parziale o totale dei canali idrografici, con conseguenze sull’irrigazione, sulla produzione di elettricità e sulle attività minerarie.

La Fao sottolinea anche gli impatti sulla salute umana e animale: «è infatti probabile che la malaria continui a spostarsi verso maggiori altitudini, come già è successo sulle catene montuose dell’Africa orientale e sulle Ande. Per gli animali selvatici, un clima più caldo può voler dire l’estinzione, per la scomparsa del loro habitat naturale.

Fino ad oggi l’approccio ai cambiamenti climatici sulle montagne è stato essenzialmente tecnologico, per evitare la tracimazione dei laghi glaciali sull’Himalaya, contro l’instabilità dei versanti montani dovuta allo scioglimento permafrost nel nord Europa, oppure le misure di adattamento e riconversione turistica adottate in Europa e in Nord America che hanno iniziato a diversificare i propri servizi per compensare la perdita di turismo invernale causata dalla mancanza di neve. La Fao sta anche lavorando «con i governi alla gestione dei bacini idrografici e alla revisione dei piani di utilizzazione del suolo e di azzonamento territoriale sia per le aree montane che di pianura poiché è assai probabile che alluvioni, frane e slavine diventino più frequenti e gravi e colpiscano aree sinora considerate sicure». Nel già citato Bhutan, è stata istituita una Commissione nazionale per il cambiamento climatico per individuare zone sicure per l’insediamento umano in aree che potrebbero potenzialmente essere colpite da inondazioni. Le popolazioni delle aree rurali sono state munite di radio trasmittenti come strumento per dare l´allarme precoce.
Ma secondo Alemneh Dejene, esperto del servizio Fao di valutazione e gestione ambientale «Occorrono maggiori dati e cognizioni a livello regionale e locale sull’impatto del cambiamento climatico e della variabilità meteorologica sulle comunità montane e sulle alternative di adattamento. La Fao ha un ruolo cruciale nel dare risposte alle gravi sfide con le quali devono confrontarsi le comunità montane nei paesi in via di sviluppo, che spesso sono anche i settori più poveri e con la maggiore percentuale di insicurezza alimentare».

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