[11/12/2007] Comunicati

Qualità della vita, il metro di giudizio che non c´è

LIVORNO. La qualità della vita, lo dicevamo ieri, è senza alcun dubbio un parametro assai soggettivo, e difficilmente misurabile: chi può decidere infatti se debba pesare di più un aspetto, magari più legato alle caratteristiche economiche e quindi un più alto tenore di vita, rispetto ad un altro che rappresenta invece la qualità e la quantità dei servizi offerti, piuttosto che la sicurezza o la possibilità di cura? Per quanto riguarda invece gli indicatori di natura ambientale, recuperare una oggettività, per quanto non semplicissimo, è obiettivo di fatto raggiungibile.

E questo, lo abbiamo detto più volte, dovrebbe essere ottenuto attraverso la definizione di indicatori omogenei, di sistemi sovrapponibili di raccolta dei dati necessari alla definizione degli indicatori, alla affidabilità delle modalità con cui i dati vengono raccolti. E forse un passo in questo senso si è fatto con la legge delega per la contabilità ambientale che andrà in discussione al parlamento con l’anno nuovo e che, se passerà, darà compito al governo di scrivere i decreti tecnici per poterla rendere agibile.
Ciò comporterà, o almeno questo è l’auspicio, il freno a carambole di dati e classifiche che portano, ad esempio, una città ad essere regina nella classifica fatta secondo alcuni criteri e cenerentola in un´altra che pur riferendosi allo stesso anno, utilizza criteri diversi di valutazione.

Anche il fatto che una volta individuati gli indicatori e i dati che concorrono alla loro descrizione, la raccolta e l’elaborazione di essi sia posta in capo ad un organo statistico predisposto a svolgere tale attività, potrà evitare di avere stessi dati elaborati in maniera assolutamente diversa che portano a risultati e quindi classifiche niente affatto coerenti. Per cui la domanda – che in molti si pongono, a partire dagli amministratori (a onor del vero se solo se la classifica non li premi), se servono questi rapporti, rischia di avere una certa ragione di essere.

E’ una domanda che si pone questa mattina Pippo Ranci, presidente dell’autorità per l’energia elettrica ed il gas, sulle pagine del Sole 24 Ore (quotidiano che pubblica ogni anno il suo rapporto sulla qualità della vita nelle province italiane e in anteprima da qualche anno anche Ecosistema urbano di Legambiente) riguardo alla classifica di Germanwatch che colloca l’Italia dopo la Cina, sul tema della lotta ai gas serra.
Lo studio in questione condotto da un organismo no profit (Germanwatch appunto) riguarda le politiche di 56 paesi, messe in atto per frenare i cambiamenti climatici. Utilizza indicatori che Ranci definisce ragionevoli nella scelta di utilizzarli, e li distribuisce con pesi assolutamente arbitrari (come è legittimo che sia) tra gli stessi indicatori e tra le componenti che li descrivono.

E come ogni rapporto costruito in maniera arbitraria, che è l’unica utilizzabile in assenza di un sistema omogeneo di riferimento, offre l’assoluto pregio di dare indicazioni altrimenti inesistenti, di stimolare a fare di più per migliorare, ma anche una visione che può apparire parziale, non esaustiva e quindi anche criticabile. Come appunto fa Ranci, che pur riconoscendo a questo rapporto di essere trasparente, ne evidenzia però al contempo la caratteristica di essere unilaterale e di avere dei difetti. Riconoscendo però anche il fatto che se questi rapporti vengono fatti e godono di molta attenzione ciò indica che di questi rapporti ve n’è bisogno.

Dice Ranci: «Abbiamo estrema necessità di termini di confronto, altrimenti finiamo per giudicare le politiche solo a fronte delle nostre aspettative soggettive, o ideologiche, o pregiudizi».
Quando invece sarebbe urgente poter giudicare e valutare le politiche che riguardano seppur da vicino la nostra vita presente e futura o quella di chi verrà dopo di noi, con un metro oggettivo, ripetibile e omogeneo. Ma nel frattempo però come dice sempre Ranci «se nessuno lo fa, serve a poco lamentarsi».

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