[10/12/2007] Recensioni

La Recensione. Le mele di Cernobyl sono buone di Giancarlo Sturloni

Il libro è l´ennesimo testo che indaga il rapporto fra rischio e percezione del rischio. Ma lo fa in modo narrante, limpido, e accessibile a chiunque voglia farsi un´idea delle dinamiche che presiedono i conflitti sulla ricerca scientifica e la scienza applicata (tecnologia).
Come ricorda il prefatore (e nostro collaboratore )Pietro Greco, fin da "alcune migliaia di anni fa, dopo aver scoperto e iniziato a praticare l´agricoltura e l´allevamento, Homo sapiens ha modificato in breve tempo il paesaggio del pianeta. Dunque la novità -la novità assoluta- del novecento non consiste tanto nell´impronta enorme che l´uomo marca nella biosfera, quanto nella coscienza enorme che ha di questa sua formidabile capacità".

Infatti come si evince dalla lettura del testo, nella maggior parte dei casi le controversie sui rischi tecnologici non vertono tanto sulla sicurezza di una tecnologia o sulla correttezza di una ipotesi scientifica. Come dimostrano i conflitti sull´uso dell´energia nucleare, sugli Ogm, o sul recupero di energia dai rifiuti tramite il loro incenerimento; o, per converso, come dimostra l´assenza di conflitti su rischi quali la presenza di radon, di amianto, o del famigerato Pcb contenuto nei circuiti di apparecchiature familiari come lavatrici, lavastoviglie ecc..., all´origine delle controversie stanno profonde ragioni di natura sociale, culturale, politica, legale, etica o religiosa, al punto che, talvolta, si arriva persino al paradosso che la questione scientifica o l´utilizzo di tecnologia complessa, vengano del tutto oscurate dagli elementi anzidetti.

Come dice l´autore, "le controversie pubbliche sui rischi... nascono non tanto (o non solo) da un pubblico tecnofobo atterrito per i possibili effetti su salute e ambiente ma, più plausibilmente, dalla consapevolezza che le scienze moderne" hanno acquisito non solo la capacità di manipolare la materia ma quello, per la prima volta, “di modificare la stessa natura umana”.
Tuttavia lo spartiacque, come si è detto, fra ciò che si ritiene accettabile e ciò che non lo si ritiene, quasi mai ha una relazione con una comprovata gerarchia dei rischi, bensì con la volontarietà o meno all’esposizione.
Basterebbero le vittime acclarate che miete il fumo delle sigarette o le emissioni da traffico per evidenziare questo scarto. Un rischio immensamente minore, ma non personalmente scelto, è assolutamente meno tollerabile di un altro immensamente maggiore ma personalmente scelto.

Analogamente, ogni situazione in cui rischi e benefici non siano equamente distribuiti suscita l’ostilità di chi si trova esposto ad un rischio senza percepirne alcun guadagno, o peggio, per il guadagno di qualcun altro. L’
esempio dei rifiuti all’istallazione di ripetitori per la telefonia mobile vicino alla propria abitazione in rapporto al rischio ben maggiore che le radiazioni emesse da un telefonino ma accettate senza alcuna precauzione, evidenziano bene quanto detto sopra.

Ma in fin dei conti, chiunque negli ultimi anni si sia dilettato a indagare le dinamiche conflittuali sui territori, si sarà accorto che agli “ingredienti”
soliti se n’è aggiunto ( o acutizzato) uno: il crollo di fiducia nei decision maker. Ovvero, il crollo di fiducia in chi deve prendere decisioni in ragione dell’interesse generale. E questo è un tema che attraversa tutti i paesi cosiddetti avanzati ma con particolare virulenza è presente in Italia. Nel nostro paese, è assolutamente evidente, si è inceppato il circuito informazione- partecipazione-decisione, e fin tanto che questo circuito non si sarà sbloccato, non si ripristinerà neanche una sana fisiologia dei conflitti. E dunque, anche, una sana fisiologia delle scelte che, proprio per avere il crisma della democraticità non possono scansare quello del dissenso. Quando la politica avrà riacquistato questo “rischio” (che significa rischiare di perdere il potere ) e si sarà lasciata alle spalle “l’era del marketing”, si saranno ripristinate anche le condizioni per una sana fisiologia dei conflitti basati su scontri di idee e di valori da cui soltanto si può orientare la società in cui vogliamo vivere e il ruolo che vogliamo dare alla scienza e alla tecnologia.

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