[06/12/2007] Comunicati

Le due dimensioni della vulnerabilità: chi ci guadagna con Bali (se va bene)

LIVORNO. I nuovi dati disponibili, a partire dagli indici compositi che intrecciano dati geografici sul cambiamento climatico e quelli energetici, permettono di comprendere meglio come i vari Paesi possono reagire (con politiche, progetti ed atti concreti) di fronte ai trattati internazionali che regolano e regoleranno le emissioni di gas serra.
La Banca Mondiale ha presentato a Bali il documento di lavoro “Country stakes in climate change negotiations : two dimensions of vulnerability” sulle politiche di sviluppo che classifica i Paesi dal punto di vista della loro vulnerabilità, secondo due criteri: la vulnerabilità alla fonte, che prende in considerazione l’accesso ai combustibili fossili e alle energie rinnovabili, ma anche la possibile importanza delle tensioni sull’occupazione o i guadagni risultanti da una tassazione (di qualsiasi tipo) sulle emissioni di CO2; la vulnerabilità agli impatti della modificazione del clima o la predisposizione ai rischi climatici ed agli effetti dell’innalzamento del livello del mare.

Uwe Deichmann, coautore del documento e specialista per l’ambiente del gruppo di ricerca sullo sviluppo della Banca Mondiale, spiega che «Il nostro lavoro permette di dire che la concertazione régionale è sufficiente per non escludere la possibilità di adottare delle strategie per la regione. Le popolazioni sono in generale molto più esposte ad episodi metereologici estremi nell’Asia del sud e dell’est che nel Medio-Oriente e in Africa del Nord. Tuttavia, l’interesse per un protocollo mondiale varia talvolta di molto da un Paese all’altro all’interno di una stessa regione, è sommamente auspicabile di personalizzare gli approcci. Molti microstudi sono pervenuti alle stesse conclusioni».

Lo studio evidenzia che sono soprattutto indispensabili meccanismi perequativi e compensativi per avviare negoziati con il gruppo dei Paesi poco interessati ad un protocollo mondiale e che hanno già un elevato livello di emissioni di gas serra. Recenti valutazioni della Banca Mondiale mostrano come con l’innalzamento di un metro del livello del mare avrebbe «delle conseguenze importanti nel mondo in via di sviluppo, 56 milioni di abitanti di 84 paesi rischiano di diventare dei rifugiati ecologici».

In termini di popolazione, i 10 Paesi o Territori più colpiti nel mondo saranno: Vietnam, Egitto, Mauritania, Suriname, Guyana, Guyana francese, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Bahamas e Benin. Sono quelli che hanno più interesse che da Bali esca un accordo per il post-Kyoto e politiche concrete e rapide di adattamento al global warming. Si stima che in Vietnam un innalzamento di un metro del livello del mare costringerebbe allo spostamento del 10,8 % della popolazione, con la devastazione del delta del Mekong e del Fiume Rosso.

In Egitto il Nilo subirebbe le stesse conseguenze: sarebbe colpito il 10,5 % della popolazione ed un quarto del suo delta sarebbe inondato dall’acqua salata. Nell’Asia del sud ad essere il più colpito é già oggi il Bangladesh, che rischia di perdere molto del suo territorio costiero. La protezione del litorale e lo spostamento nell’entroterra della strutture più vulnerabili devono far parte dei piani di adattamento all’innalzamento dei livelli del mare, che sarà graduale ma che già oggi espone le coste a sempre più frequenti inondazioni durante maree e tempeste.

«Alcuni Paesi hanno cominciato a preparare piani di adattamento – dice Susmita Dasgupta, l’economista principale del gruppo di ricerca sullo sviluppo della Banca Mondiale – ma bisogna dinamizzare il processo. Speriamo che le informazioni fornite con questo documento incitino ad agire più rapidamente su questo fronte».

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