[05/12/2007] Comunicati

Previsioni meteo vs previsioni clima: la guerra dei cent´anni

FIRENZE. Una “rivoluzione”: l’installazione e la messa a punto del nuovo interferometro IASI sul satellite europeo Met-op, che consentirà di aumentare l’affidabilità delle previsioni meteo a breve termine, è salutata nell’ambiente dei previsori come un enorme passo in avanti. Il numero di giorni per cui è possibile effettuare una previsione meteorologica “attendibile” (la cui possibilità di verificarsi sia cioè superiore al 70%) sale dai cinque attuali a sei.

Prevedibili (a loro volta) e benevole saranno le applicazioni della nuova tecnologia adesso disponibile, dall’ anticipo del preallarme in caso di eventi di forte intensità alla possibilità di una migliore- e più accurata – pianificazione delle attività umane. Ed è da accogliere con fiducia ogni passo in avanti nella comprensione delle dinamiche atmosferiche, che sono passate in vent’anni dall’essere oggetto di una disciplina di settore al trovarsi al centro del dibattito politico globale.

Ma da questa scoperta deriva una riflessione: come si concilia il fatto che l’attendibilità delle previsioni a breve termine non superi i cinque (adesso sei) giorni con l’esistenza di previsioni a lunghissima scadenza (100 anni) per l’evoluzione su scala globale del clima futuro? Come è possibile cioè che l’Ipcc emetta previsioni sul clima che ci aspetta tra 100 anni quando ancora non abbiamo la certezza del clima che ci attende nei prossimi 10 giorni?

Bene, la domanda è fondata, ed è infatti spesso fatta propria dai cosiddetti “scettici” (forse l’espressione più adatta è “negazionisti”) riguardo al cambiamento climatico e alla sua prevalente origine antropica. Occorre però chiarire tre aspetti:

- “meteorologia” significa “analisi di ciò che sta avvenendo”, mentre per “climatologia” è da intendersi “l’analisi di ciò che ci aspetta”. Pur essendo discipline contigue, e analoga la metodologia utilizzata, diversi sono gli obiettivi.

- Diverso è anche il campo di analisi: le previsioni meteo (cioè a breve scadenza) derivano prevalentemente dall’ esame dei dati atmosferici degli ultimi trent’anni, mentre le previsioni climatiche (1-100 anni) sono figlie dell’analisi del clima delle ere (e non “degli anni”) passate. Ad una scienza basata su dati “certi” – la meteorologia – si chiede di emettere previsioni il più possibile deterministiche, all’altra (basata invece su campionature incrociate: carote di ghiaccio, analisi dei pollini fossili e dei coralli, dendrocronologia) di fare previsioni “il meno possibile probabilistiche”.

- Le previsioni che l’ IPCC fa riguardo all’aumento della temperatura media globale sono assolutamente vaghe, poichè caratterizzate da range molto ampi di variabilità: se i possibili valori di più probabile aumento della temperatura vanno da 1,8 a 4 gradi in più nel 2100 rispetto ai livelli del 1990 (ed è già un campo molto ampio) gli scenari proposti si spingono fino a “soli” 1,1 gradi di aumento (migliore evoluzione possibile dello scenario B1) da una parte e 6,4 gradi di aumento (peggiore evoluzione possibile dello scenario A1F1) dall’altra. Va inoltre ricordato che nel quarto Rapporto IPCC l’ ampiezza del range di variazione delle possibili temperature future è aumentata rispetto al terzo Rapporto (2001), a causa della presa in considerazione di un maggior numero di variabili.

Poste queste considerazioni, occorre chiarire l’equivoco: pur con una notevole approssimazione, la previsione del clima futuro su scala globale è possibile attraverso l’ analisi di un parametro fondamentale di un sistema fisico-termodinamico qual è l’atmosfera, e cioè la quantità di energia in gioco. Sappiamo per certo che l’effetto sull’atmosfera delle emissioni di gas serra di origine antropica è di un riscaldamento. E sappiamo che l’introduzione di gas serra nell’atmosfera (o la diminuizione del loro assorbimento a causa del disboscamento e della riduzione della biodiversità vegetale) aumenta la quantità di calore in circolo. Questo “calore”, però, va inteso non solo nel senso comune della parola,ma anche – e soprattutto – in senso termodinamico: un incremento dell’ energia cinetica (cioè del movimento interno) dell’atmosfera, espressione dell’aumento dell’ energia globale.

E – notoriamente – ogni fenomeno atmosferico è espressione di una redistribuzione dell’energia interna del sistema-atmosfera, e diventa più intenso quanto più alte sono le differenze di energia tra le sue componenti, quanto cioè maggiore sia l’energia in gioco.

Da qui la certezza (non più la “probabilità”, in questo caso) di un aumento dei fenomeni estremi, in particolare della loro intensità ma anche (su questo però ci sono maggiori dubbi) della loro frequenza.

E si aggiunga che fin dal primo Rapporto IPCC (1990), sia pure con le imperfezioni in esso contenute, si prospettava un aumento dei fenomeni estremi: “ I cambiamenti naturali del clima sono un rumore” – scriveva su “Repubblica” Guido Caroselli nel lontano 1993 – “a questo rumore si sovrappone, sempre più prepotentemente - un suono crescente dovuto all’ uomo. Per ora si distingue appena il segnale del rumore di fondo, ma presto ( e sarà troppo tardi se saremo stati ad aspettare per vedere di cosa si tratta) l’effetto-serra si manifesterà con inequivocabile chiarezza. Probabilmente nella prima decade del 2000 ”.

Certo, erano previsioni probabilistiche ma..

..poi è arrivata l’estate 2003, la più calda della nostra vita.

..poi è arrivato l’uragano Katrina (2005), tra i più forti a memoria d’uomo.

..poi è arrivato l’inverno 2006/07, il più mite della nostra vita.

..e per fortuna che erano previsioni probabilistiche.

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