[03/12/2007] Rifiuti

Il referendum di Campi e il cortocircuito fra partecipazione e decisione

LIVORNO. Alla consultazione popolare che si è svolta ieri a Campi Bisenzio sul tema dell’impianto d’incenerimento che dovrebbe sorgere nel comune adiacente di Sesto Fiorentino, hanno partecipato il 31,11% degli aventi diritto, che hanno risposto in maniera pressochè analoga, ad entrambi i quesiti posti, con un no. Nel primo che chiedeva se si era favorevole all’uso di inceneritore con recupero di energia per smaltire i rifiuti non riutilizzabili o riciclabili, ha vinto il no con l’84,36%; al secondo, diretto invece sulla localizzazione dell’impianto, il no ha avuto l’88,87% dei consensi. In entrambi i casi la quota dei contrari è stata oltre i 9000 voti su oltre 35.000 aventi diritto, quindi facendo i conti a spanne un cittadino di Campi su quattro si è dichiarato contrario all’inceneritore sia come pratica di smaltimento sia al fatto che l’impianto venga realizzato nel comune vicino.

Come è prassi in Italia si tratta di un risultato che convince tutti a seconda di quali numeri si considerano: i comitati che rivendicano la vittoria dei no essendo la stramaggioranza; il vicepresidente della provincia che sottolinea il dato relativo alla percentuale dei votanti, sottolineando che sono i due terzi gli elettori che hanno scelto di non andare a votare. La giunta di Campi reputa invece che questo «è un risultato dove emerge chiaramente che non ha vinto nessuno». Avvicinandosi molto probabilmente al vero. Andando infatti al di là delle cifre, su cui appunto si possono trarre valutazioni in un senso e in un altro, perché è vero che una persona su quattro si è espressa contro all’impianto in questione e alla tecnologia dell’incenerimento, ma è difficile interpretare la volontà dei due terzi che invece non sono andati a votare. Su cui può aver pesato l’indifferenza, la sfiducia, ma anche la volontà di rimettere un tema del genere nelle mani di chi è stato eletto per prendere decisioni come queste.

Ma c’è un altro dato che emerge da questa vicenda campigiana, che si riferisce ad un tema molto più generale, che è quello del rapporto tra partecipazione e decisione, che appare (non solo in questo frangente) decisamente saltato. Un circuito all’interno del quale la componente mediatica gioca un ruolo importante, ma che spesso è condotta in maniera talmente schizofrenica, da divenire pessima. E che con l’intento corretto di dare spazio, come ha fatto la Repubblica sulle pagine di Firenze alle diverse voci contrapposte, può avere come effetto finale quello di aumentare la confusione dei ruoli e delle conoscenze. Che non è certo un servizio utile a nessuno.

Il punto è allora proprio quello di come si sviluppa una informazione e una partecipazione corretta dei cittadini, che permetta a chi deve prendere decisioni, di farlo certamente nella maniera più condivisa possibile (anche se qualcuno rimarrà comunque scontento) ma di farlo. E possibilmente nei luoghi in cui è previsto che questa pratica si svolga. Ovvero, in un sistema di democrazia elettiva quale il nostro, quello delle istituzioni elette. Che possono senza dubbio ricorrere alle consultazioni popolari in casi di particolare difficoltà nello scegliere una cosa piuttosto che un’altra, ma che dovrebbero anche saper esercitare il proprio ruolo assumendosene le conseguenti responsabilità.

Come quella di non essere (ad esempio) rieletti alla tornata elettorale successiva. Come funziona in una democrazia che si esercita attraverso la delega.
«Una esperienza , questa di Campi, di cui far tesoro, per evitare di ripeterla, qualora si presentasse di nuovo una esigenza del genere. Anzi da prendere ad esempio per fare tutto il contrario!» l’ha commentata a greenreport Massimo Morisi, garante per la comunicazione in Toscana.
Che non condivide però l’analisi del rapporto saltato tra partecipazione e decisione.

«Lo scontro tra i comitati e le istituzioni non ha in questo caso a che fare con la partecipazione. Perché vera partecipazione non c’è mai stata. Il comitato, senza naturalmente alcuna delegittamazione nei confronti dei comitati che è assai bene che vi siano, chiede in questo caso un potere di veto e tutti i mezzi legittimi che ha potuto usare li ha messi in campo per bloccare un evento cui era contrario. Nella partecipazione c’è un processo diverso, in cui si richiedono informazioni per poter anche cambiare idea. Ma il percorso partecipativo a Campi non era più possibile e hanno pensato di risolverlo con uno strumento inclusivo come il referendum consultivo, ma anche semplificante, ovvero andiamo a contarci».

Con il risultato che si è di nuovo al punto di partenza, non le pare?
«Il voto andrebbe sicuramente analizzato nella sua complessità, ma da un punto di vista giuridico la situazione è chiara: un cittadino su quattro è contrario a questa ipotesi. Campi dovrà quindi interpretare questo dato e lo deve fare motivando le sue scelte di fronte a cittadini che si sono dichiarati contrari».

Con il fatto che Campi non ha da scegliere ad esempio sulla localizzazione, dato che l’impianto è previsto su un comune limitrofo.
«Sicuramente è una situazione particolarmente anomala. Ma che denota la necessità di ricreare una relazione fiduciaria, sia con chi ha votato per il no, sia con chi non è proprio andato a votare».

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