[28/11/2007] Energia

Per un "miracolo rinnovabile italiano"

ROMA. La Germania avrà nel 2020, informava lunedì il Corriere della Sera, il 20% dell’intero fabbisogno energetico garantito dalle fonti rinnovabili e ridurrà del 40% i gas serra, il doppio di quanto chiede la Ue ai suoi stati membri. Questi dati confermano che, in questo decennio, la Germania, attraverso una vera e propria rivoluzione nel settore energetico, ha conquistato la guida della lotta al riscaldamento globale ed è augurabile che la sua posizione prevarrà nelle decisioni che saranno prese a Bali.

Ma il “miracolo rinnovabile tedesco” mi spinge a pormi e a porre la seguente domanda: l’Italia, paese ricco di sole, vento e biomasse, potrebbe acquisire i medesimi risultati? I numeri ci dicono quanto sia in salita il cammino: siamo di fatto fermi all’idroelettrico e al geotermico che i nostri previdenti nonni hanno realizzato, a cui si aggiunge un po’ di eolico. Mancano in questo paese i tre ingredienti fondamentali che hanno permesso il miracolo tedesco. In primo luogo decisori politici capaci di scelte almeno in grado di far percepire alla società che governano, che la questione ambientale non è solo un vincolo e un costo, ma un’opportunità in grado di realizzare benessere diffuso e anche garantire profitti. Soprattutto manca un apparato industriale e di ricerca capace di rischio e quindi di costruire le proprie aspettative di profitto su periodi più lunghi di quelli invece brevissimi e speculativi sui quali puntano invece gli investitori italiani. Infine manca un movimento ambientalista all’altezza.

Dopo la vittoria del referendum contro il nucleare l’ambientalismo italiano non ha saputo costruire una svolta nelle politiche energetiche né, tanto meno, le alleanze sociali e politiche che ne rendessero possibile la realizzazione. Il miracolo tedesco è stato invece possibile proprio per la presenza di queste tre condizioni. In Italia per ora tutto ciò è largamente inesistente. I decisori politici, compresi quelli di centro sinistra, si sono per lo più fatti dettare le scelte energetiche dall’Enel e dall’Eni, che hanno puntato su gas e carbone; la Confindustria ha operato esclusivamente per aggirare Kyoto; infine nel movimento ambientalista hanno prevalso le posizioni che puntavano a una svolta nelle politiche energetiche basata quasi esclusivamente sull’efficienza energetica e sul risparmio, dicendo no a tutto il resto, dall’eolico alle biomasse, al gas come fonte di transizione.

Sulle prime due condizioni è assai difficile influire se non cercando di realizzare la terza condizione e cioè costruire un vero e proprio cambiamento di pelle del movimento ambientalista che consentisse di rimettere al centro dei conflitti e del suo agire quell’ambientalismo scientifico e progettuale che è indispensabile per spostare i rapporti di forza e guadagnare consensi ad uno sviluppo e ad un benessere durevoli. Un primo rilevante contributo in questo senso potrebbe venire dal prossimo congresso di Legambiente. Certo non sufficiente a colmare la distanza che ci separa dall’esperienza tedesca, ma almeno a non considerarla un obiettivo irraggiungibile.

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