[26/11/2007] Recensioni

La Recensione. ‘Sviluppo locale’ Vol. XI. N. 27 di Giorgio Osti e Anna Natali

Le nuove sfide a cui i parchi nazionali e regionali richiedono una risposta di sistema, che sarebbe inefficiente ed insensato lasciare all´iniziativa di ogni singolo parco. Alcuni esempi, di queste nuove sfide, sono stati di recente proposti all’attenzione da Giorgio Osti, che sarà bene ricordarlo – almeno per i più giovani - è un ricercatore che esordì in anni ormai lontani con un libro importantissmo e innovativo ‘Parchi in vetrina’ in cui il contesto nel quale operaravano i parchi assumeva contorni e caratteri meno scontati e tradizionali. Qui vorrei rifarmi ad un suo scritto ‘Un’economia leggera per aree fragili’ che introduce una ricerca dedicata appunto ad ‘aree fragili e sostenibilità ambientale’ pubblicata su ‘Sviluppo locale’ Vol. XI. N. 27, 2004-2005 in cui troviamo anche un importante contributo di Anna Natali.

L’interesse di questo contributo è dato innanzitutto proprio dal quel ‘contesto’ di cui parlavo, qui riconducibile peraltro ad aree del Nord Italia. La domanda da cui muove il ragionamento è il legame che può esistere tra tipi di società e sostenibilità ambientale che riguarda l’impronta ecologica e il carico ecologico. Con la prima si intende l’impatto ecologico dei consumi di una popolazione mentre il secondo attiene all’impatto dell’economia locale.

Se un territorio è più isolato e preleva meno risorse riduce però anche la sua sorveglianza sul territorio stesso che si apre ad usi impropri ad alto impatto ambientale ( prelievi abusivi di selvaggina, di materiali inerti, di risorse idriche; massicci usi ricreativi di aree delicate, progetti di valorizzazione pesante che non trovano alcuna opposizione locale). Ne consegue che certe aree collinari e montane vengono destinate a scopi ricreativi e come riserve di risorse vitali (cibo-acqua-legno), e gli impatti ambientali devono essere per forza di cose contenuti.

Si avvia così una specializzazione funzionale di tali aree per le quali si rende necessaria e legittima una tutela maggiore e cominciare dai parchi naturali. Si delinea in qualche modo una specializzazione nell’uso del territorio e dell’ambiente volta anche a stabilire un rapporto meno conflittuale, ad esempio, tra pianura e montagna. Dal punto di vista produttivo Osti sottolinea l’esigenza di filiere corte ossia di una comunità che chiude i cicli di alcuni settori, ad esempio, l’agroalimentare e l’assistenza primaria diminuendo così l’impronta ecologica derivante dalla massiccia circolazione di beni da un capo all’altro del globo.

Su questo sfondo in cui si può intravedere abbastanza chiaramente e significativamente anche un ruolo delle aree protette –diciamo così- di portata strategica rispetto a quel ‘contesto’ già richiamato, emergono anche problemi niente affatto semplici e tanto meno dall’esito scontato. Osti a proposito di talune aree sperdute della montagna ricorda che se proseguono le attuali tendenze demografiche avremo presto pochi abitanti con la percezione chiara di una comunità che va a morire al punto che ci troveremo in presenza di luoghi della memoria. Anche sul destino ecologico di questi territori non è difficile prevedere possibili usi esterni sconsiderati e abnormi. D’altronde l’esperienza è li a ricordarci che entrambe le prospettive; l’abbandono con il conseguente degrado anche ambientale o viceversa l’occupazione per usi impropri producono ugualmente effetti negativi e distorcenti.

Da qui l’esigenza –diciamo pure la sfida- di riuscire a mettere validamente in campo tutti gli strumenti e le politiche in grado di attivare tutte le energie specialmente locali su un terreno né di abbandono nè di subalternità localistica a processi globali squilibranti. Ciò implica una grande capacità innanzitutto istituzionale,il che riguarda anche -e in qualche caso principalmente- proprio i parchi e le aree protette il cui ambito d’azione ha una dimensione che meglio si attaglia ad aggregare le micro realtà locali.

che è il tema affrontato da Anna Natali sullo stesso numero della rivista in riferimento però soprattutto alla realtà ed esperienza meridionale e ai fondi comunitari. Non potendo qui dar conto della documentata riflessione che ha il grande merito di farci toccare con mano come le vecchie modalità di governo sia politico che burocratico riescano ancora a far fallire anche le migliori intenzioni e propositi, evidenzia però che quando si riesce a scrollarsi di dosso questa paralizzante bardatura si possano superare vecchie conflittualità e municipalismi.

Va detto che anche in realtà dove forte e comunque cospicua è la presenza di parchi e di scottanti problemi ambientali (fiumi, agriturismo etc) i progetti faticano ancora moltissimo a farsene carico sia che si tratti della Sicilia che del Pollino. Mi ha colpito,ad esempio, il dato fornito da Domenico De Masi -da poco presidente del parco nazionale del Cilento- in una intervista alla rivista dell’UPI ( le Province n.5 Settembre-Ottobre 2007) relativo al turismo al sud. La saturazione delle stanze d’albergo in Italia è in media del 48 per cento (in Francia supera il 70 per cento) al sud scende al 26 per cento. L’anno scorso i turisti del solo Triveneto sono stati undici milioni, due milioni in più di tutto il Sud, Sicilia e Sardegna comprese.

Alcuni esempi sui quali si sofferma Anna Natali ci aiutano a spiegare questo ritardo se è vero che progetti a questo mirati anche in parchi importanti non decollano. Come nello scritto di Osti torna anche in questo della Natali sia pure in tutt’altro contesto il tema del ruolo anche ( certo non solo) dei parchi e delle aree protette in una politica di seria progettazione. E così si torna al punto da cui abbiamo preso le mosse ossia la necessità e urgenza proprio a fronte anche di queste riflessioni ed esperienze di definire meglio cosa oggi debbono e possono fare i parchi se non vogliamo limitarci a registrare le percentuali di territorio protetto.

Me lo chiedo in particolare guardando al dibattito in corso ormai da molti mesi in Toscana immediatamente diventato nazionale e che ha preso –per usare le parole di Mario Pirani- subito d’aceto. Sul piano istituzionale innanzitutto dove si è assistito ad un vero e proprio tiro al bersaglio sui comuni e sulla regione per avere loro troppa corda in materia di paesaggio. Ma che proprio per questo eccesso di rischi di frammentazione presenti nelle politiche toscane avrebbe dovuto tener conto del ruolo dei parchi regionali e nazionali che in questa come nelle altre regioni hanno l’innegabile e incontestabile merito di riuscire a ‘unire’, far cooperare comuni (spesso piccoli e piccolissimi) e province in una dimensione pianificatoria in grado di

integrare natura, paesaggio ed economia. Invece i parchi anche da parte di taluni soloni dell’ambientalismo che tengono lezioni un giorno si e l’altro pure su vari giornali nazionali sono stati regolarmente e sorprendentemente ignorati e snobbati. Il che non è certo avvenuto per caso visto che gira gira quello che si cerca e si vuole e ristabilire a tutti gli effetti il comando dello stato senza troppi guastafeste tra i piedi. E sorprende che anche un giornalista attento e misurato come Pirani richiami questa esigenza in nome della Repubblica che oggi però –e non è certo un dettaglio da poco- nella Costituzione sta a indicare con lo stato le regioni e gli enti locali.

Anche per queste ragioni il dibattito sul ruolo dei parchi può oggi far fare un passo in vanti a quel confronto istituzionale in atto sul nuovo Codice delle autonomie che mostra finora troppe controversie e impicci che non giovano a nessuno.

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